TANGRAM 49

Peter G. Kirchschläger
Professore di Etica teologica e direttore dell'Istituto di Etica sociale ISE dell'Università di Lucerna

Che cosa determina l’umanità dell’essere umano e in che modo la dignità umana può essere motivata eticamente? Il presente contributo cerca di dare una risposta a questi interrogativi, illustrando inoltre perché la dignità umana e la libertà, in quanto fondamenti etici di tutti i principi, tolgono qualsiasi legittimità al razzismo.

Peter G. Kirchschläger

Che cos’è la dignità umana? Può essere definita innanzitutto come la caratteristica che determina l’umanità dell’essere umano e che distingue le persone dagli altri essere viventi e dagli oggetti materiali. Questo tentativo di coglierne i contenuti non offre però sbocchi. Un altro approccio per arrivare a una definizione potrebbe consistere nello stabilire, in positivo, che cosa caratterizza l’essere umano e nell’associare la dignità umana a capacità come la ragione o attributi come il riconoscimento. Questo modo di chiarirne il significato comporta tuttavia un rischio di discriminazione, ad esempio se, come nel pensiero di Immanuel Kant, si vincola la dignità umana alla dote della ragione, alla capacità morale e all’autonomia dell’individuo. Chi è limitato in queste capacità, chi non le può mettere a frutto attivamente o chi addirittura non ne dispone – ad esempio le persone con disabilità, i pazienti in coma o gli embrioni – potrebbe essere discriminato. Siccome la dignità umana esclude qualsiasi potenziale discriminatorio, la riflessione teorica su questo concetto richiede una spiccata sensibilità per i possibili elementi discriminanti.

Caratterizzazioni in negativo della dignità umana, ossia che partono da quello che la viola, possono invece offrire un orientamento concettuale che evita il rischio di discriminazione. Una definizione di quello che la dignità umana non è non deve infatti stabilire quali capacità o qualità attribuiscono dignità all’essere umano. L’ottica in negativo si focalizza sulle violazioni della dignità umana che gli individui subiscono o potrebbero subire, alle quali va posto un termine e che vanno eliminate e prevenute. Le caratterizzazioni in negativo e l’approccio in positivo hanno in comune una comprensione concisa e materialmente determinata della dignità umana. Entrambi restano volutamente prudenti per rispetto della pluralità culturale, filosofica, religiosa e ideologica, che si traduce tra l’altro nel diritto umano alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione e nel diritto umano alla non discriminazione. Di conseguenza, le definizioni in negativo della dignità umana si limitano perlopiù a delinearne il concetto mediante asserzioni formali.

Motivazione etica della dignità umana

I tentativi di inquadramento concettuale precitati suggeriscono una motivazione etica della dignità umana fondata sul principio della vulnerabilità. Quest’ultima implica in primo luogo la percezione soggettiva dell’individuo nei confronti della propria vulnerabilità: le persone sane, ad esempio, sanno che in futuro potrebbero ammalarsi.

In secondo luogo, le persone che acquisiscono consapevolezza della propria vulnerabilità scoprono ex negativo la «prospettiva di prima persona» e l’«autorelatione». La prospettiva di prima persona mostra all’individuo che, in quanto «io», è soggetto dell’autopercezione che, a sua volta, gli rivela la propria vulnerabilità. Le persone vivono questa esperienza antropologica fondamentale della vulnerabilità in forma soggettiva, vale a dire in prima persona singolare. Interpretano inoltre la situazione in modo da ricondurre i loro comportamenti, le loro decisioni, la sofferenza e l’esistenza al proprio «io soggetto». L’individuo si comporta in rapporto a sé stesso. La nozione di autorelazione indica la capacità di porsi in relazione con sé stessi.
In terzo luogo, l’essere umano si accorge che anche la prospettiva di prima persona e l’autorelazione sono dominati dalla vulnerabilità. Se, ad esempio, una persona muore, ciò significa anche la fine della prospettiva di prima persona e dell’autorelazione.

In quarto luogo, da questo processo di acquisizione della consapevolezza della propria vulnerabilità e della propria prospettiva di prima persona deriva la capacità dell’individuo di collocarsi in rapporto a sé stesso e alle altre persone. Contestualmente capisce che non è il solo a essere vulnerabile, ma che condivide tale condizione con tutti gli altri esseri umani.

In quinto luogo, questo permette alle persone, tramite la consapevolezza della propria vulnerabilità e di quella degli altri, di riconoscere ciò che le accomuna, in quanto non condividono soltanto la vulnerabilità, ma anche la prospettiva di prima persona individuale e l’autorelazione individuale. Ogni individuo è soggetto della propria vita. Ne consegue che l’individuo diventa consapevole dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani – nella loro vulnerabilità, nella loro prospettiva in prima persona e nella loro autorelazione. Le persone riconoscono così la prospettiva di prima persona e l’autorelazione come presupposto essenziale per poter vivere quali esseri umani.

In sesto luogo, l’essere umano è consapevole della propria vulnerabilità, ma al tempo stesso non sa se e quando questa vulnerabilità si manifesterà e si tradurrà in una violazione o un’infrazione concreta. Pertanto, è disposto a concedere la prospettiva di prima persona e l’autorelazione a tutte le persone in virtù dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani, in quanto ciò costituisce la soluzione più razionale, intelligente e vantaggiosa ai fini dei propri interessi. In altre parole, l’individuo accorda la dignità a tutti gli esseri umani per proteggere sé stesso e tutti gli altri, poiché la vulnerabilità concerne anche la prospettiva di prima persona e l’autorelazione. Questo rispetto per la dignità umana intende, da un lato, evitare che la vulnerabilità si traduca in una violazione concreta e, dall’altro, consentire una riparazione qualora si verificasse una tale trasformazione. Contestualmente, gli individui sono consapevoli che il rispetto della dignità umana comporta anche obblighi, dato che non si tratta di un diritto esclusivo (ad es. «la dignità di Peter G. Kirchschläger»), ma pure che, trattandosi di dignità, spetta a tutti gli esseri umani in egual misura.

In settimo luogo, ne consegue che la vulnerabilità non possiede qualità morale in sé, ma che il principio della vulnerabilità, con la prospettiva di prima persona e l’autorelazione, assume valenza normativa in quanto imperativo morale: riguarda tutti gli esseri umani e li distingue da tutti gli altri esseri viventi. Il principio della vulnerabilità è rivelatore della dignità umana che le persone si accordano reciprocamente. Di conseguenza, le persone hanno dignità non in ragione della loro vulnerabilità, ma perché riflettono su di essa e sulla sua rilevanza, perché diventano consapevoli della prospettiva di prima persona e dell’autorelazione proprie e di tutti gli altri e le riconoscono come presupposto essenziale di una vita da essere umano – nel senso del principio della vulnerabilità.

Secondo questo principio, la dignità umana può essere concettualizzata e motivata senza dover illustrare le caratteristiche che ne sono alla base, vale a dire quelle che qualificano l’essere umano come tale. Inoltre, questa base argomentativa può essere collegata a esperienze di violazione che si verificano ex novo – ad esempio a seguito dello sviluppo tecnologico – o che si manifestano in culture, tradizioni, filosofie, religioni e ideologie eterogenee. Il principio della vulnerabilità offre molteplici e sfaccettati spunti al riguardo. Questa base argomentativa ex negativo si rivela quindi compatibile con concezioni sia religiose che laiche della dignità umana.

Funzioni della dignità umana e principi dell’etica

Ci si può avvicinare al concetto di dignità umana anche focalizzandosi sulle sue funzioni – ad esempio, prestando attenzione alle condizioni necessarie per riflettere su questioni etiche. Nel momento in cui l’etica diventa un tema, ad esempio se sorge un problema morale, per chi discute di etica è opportuno prevedere due presupposti:

1. Chi discute di etica deve essere dotato di libertà, perché altrimenti occuparsi di etica e di temi etici non ha senso: senza libertà, infatti, la questione di quello che dovremmo fare non si pone nemmeno. Il principio etico della libertà richiede norme. La libertà di scegliere tra ciò che è eticamente giusto e sbagliato o eticamente buono e cattivo è alla base della capacità morale dell’essere umano, nonché della necessità dell’etica e del diritto. Detto in altri termini, nel momento in cui si inizia a riflettere o a dibattere di questioni etiche, occorre partire dall’assunto che chi ne discute sia dotato di libertà.

2. Chi discute di etica va inteso come essere umano, vale a dire dotato di dignità umana. Soltanto il principio etico della dignità umana conferisce un fondamento e, al tempo stesso, un quadro al dibattito e alla riflessione sull’etica, sancendo in tal modo l’unicità dell’essere umano, distinguendolo da oggetti materiali e altre forme di vita e vietando in modo assoluto di attribuirgli un valore monetario e di strumentalizzarlo come puro mezzo per un altro scopo. «Everybody matters» – ogni persona conta!


Per illustrare questo secondo presupposto ci serviamo del seguente esempio, che prevede tre prerequisiti concettuali. Primo: un individuo riflette sugli animali da una prospettiva umana; secondo: queste riflessioni avvengono entro i limiti della ragione umana; terzo: il tutto rispecchia lo stato attuale della ricerca. Di norma, non discutiamo di questioni etiche, ad esempio, con un pesce rosso… L’etica non ha quindi senso se non riconosciamo l’umanità, ossia la dignità umana, del nostro interlocutore.

L’etica non ha senso se non riconosciamo l’umanità, ossia la dignità umana, del nostro interlocutore.

Il razzismo come attacco alla dignità umana

Le riflessioni condotte finora permettono di delineare per sommi capi il rapporto tra dignità umana e razzismo da una prospettiva etica. Amnesty International definisce il razzismo come segue: «Il razzismo è un affronto alla nozione stessa di diritti umani universali. È la negazione di uno dei principi fondanti della Dichiarazione universale dei diritti umani, ossia che tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Il razzismo nega sistematicamente ad alcune persone il pieno godimento dei loro diritti umani, con il pretesto del colore della pelle, dell’appartenenza razziale o etnica, dell’origine sociale (compresa la casta) o nazionale. Questo rappresenta una minaccia per tutti i diritti umani: civili e politici, ma anche economici, sociali o culturali». In altre parole, il razzismo costituisce un attacco alla dignità umana, in quanto mira a dividere le persone e a creare una disuguaglianza laddove in realtà vi è un’assoluta uguaglianza, ossia nella qualità umana di tutti gli individui. Essendo per principio indivisibili, i diritti umani devono essere realizzati integralmente nel modo migliore possibile, dato che contribuiscono alla sopravvivenza fisica e alla dignità umana. Un diritto umano non può essere esercitato in modo da minarne un altro. Non si può quindi abusare della libertà di espressione per commettere discriminazioni razziali e, di conseguenza, violare il diritto umano alla non discriminazione. I singoli diritti devono invece andare a braccetto ed essere visti come un tutt’uno.
La motivazione della dignità umana fondata sul principio della vulnerabilità, come esposto in precedenza, non ammette disparità tra esseri umani per quanto riguarda il loro diritto alla dignità. Considerando infatti la propria vulnerabilità e l’incertezza che ne deriva, la protezione della dignità di tutti gli esseri umani appare la scelta più intelligente e razionale per perseguire gli interessi individuali. Non ci sono quindi né motivi né spazio per il razzismo.

I tentativi d’inquadramento concettuale delle funzioni della dignità umana come uno dei due principi di tutti i principi dell’etica porta a una conclusione chiara: i due presupposti fondamentali per discutere di etica evocati in precedenza vanno estesi dagli interlocutori del dibattito a tutta l’umanità e devono eliminare qualsiasi disparità per motivi razziali. Tutti gli individui vanno quindi intesi come esseri dotati di libertà e di dignità umana.

Questa conclusione è necessaria perché, invertendo l’onere della prova:

• non è possibile addurre «buoni motivi» per cui, chi discute di etica, dovrebbe godere di un diverso grado di libertà rispetto a tutti gli altri esseri umani;
• non è possibile indicare «buoni motivi» per cui, chi discute di etica, dovrebbe godere di un diverso grado di dignità umana rispetto a tutti gli altri esseri umani.

In un ipotetico contraddittorio, la controparte dovrebbe quindi addurre «buoni motivi» da opporre a questa estensione della «libertà di chi discute di etica» e della «dignità umana di chi discute di etica» a tutte le persone. «Buoni motivi» significa che deve essere ipotizzabile che tutti gli individui, nella loro libertà e autonomia effettiva e nella loro piena uguaglianza, approverebbero questi motivi – nel quadro di un modello concettuale e non di una votazione popolare reale a livello mondiale. La libertà e la dignità umana di tutti gli individui sono pertanto da intendersi come condizioni che offrono all’etica la possibilità di esistere – come i due principi di tutti i principi –, il che esclude, a priori, una possibile legittimità etica del razzismo.

La dignità umana come principio giuridico categorico

Al di là dell’etica, la dignità umana influisce anche sul diritto. La dignità umana non costituisce soltanto il quadro per il diritto positivo, ma anche la condizione fondamentale per la sua legittimità. La dignità umana come principio giuridico categorico crea premesse e condizioni quadro costitutive per trasformare la diversità in realtà e, quindi, in pluralità legittima in grado di opporsi a eventuali resistenze – soprattutto attraverso la delegittimazione e l’eliminazione del razzismo.
In ambito etico, la dignità umana assume un ruolo particolare sotto il profilo del nesso tra etica e diritto. Questa interazione è caratterizzata dal fatto che l’etica può tradursi in diritto, che il diritto ha bisogno di legittimazione etica e, infine, che il diritto necessita della verifica critica costante da parte dell’etica per essere e rimanere non soltanto legale, ma anche legittimo. Secondo il filosofo Arnd Pollmann, i diritti umani e la dignità umana come principi guida politici non possono essere dati per scontati. Al contrario: devono essere costantemente difesi e riaffermati contro il dispotismo statale, le derive autoritarie e, a volte, anche contro studiosi e intellettuali che li danno già per morti. Soltanto così queste idee potranno continuare a essere una realtà politica.