Sintesi dell'articolo
«Verstehen, nicht rechtfertigen. Motive eines Hooligans – und Lehren daraus» (tedesco)
Autor
Sociologo e professore emerito dell’Università di Basilea e della Scuola universitaria di lavoro sociale, Ueli Mäder ha condotto diversi studi (finanziati dal Fondo nazionale svizzero) sull’estremismo di destra, l’integrazione e l’emarginazione.
ueli.maeder@unibas.ch
Gök Terman è arrivato in Svizzera dalla Turchia all’età di tre anni. Da bambino ha subìto l’emarginazione dei coetanei e la tirannia del padre. Presto gli altri hanno cominciato a temerlo. Divenuto maggiorenne, è entrato a far parte degli hooligan del Basilea. Picchiava perché voleva farsi rispettare e si sentiva forte quando riusciva a imporsi nelle risse e a incutere timore. Dare a qualcuno dello «sporco ebreo», sostiene, è soltanto un modo per provocarlo, le parole non contano. Sa che è scorretto, ma nella sua percezione distorta della realtà «corretto» significava «scorretto» e «normale» voleva dire «anormale». Voleva scappare dall’inferno che era in lui e che lo attraeva.
I meccanismi che vogliamo superare, infatti, sono dentro di noi. Durante la nostra conversazione, Gök rifiuta le mie argomentazioni antirazziste. Ma quando cerco di capire le sue ragioni, senza giustificarle, allora si lascia andare. E fa autocritica. Critica per esempio il suo machismo, che d’altronde non si discosta molto da quello che domina in alcuni ambienti lavorativi (manageriali). Non si può decidere dove venire al mondo. Converrebbe tenerlo sempre presente e ammettere che ci sono cose che non capiamo, anche in noi stessi.