Autori
Mohamed Mahmoud Mohamedou e Davide Rodogno sono professori di storia e politica internazionale all’Istituto di alti studi internazionali e sullo sviluppo IHEID a Ginevra (Geneva Graduate Institute), mahmoud.mohamedou@graduateinstitute.ch; davide.rodogno@graduateinstitute.ch.
Il problema dei monumenti controversi nello spazio pubblico è diventato d’attualità in seguito a un accumulo storico di irresolutezza e a una contemporanea accelerazione della visibilità. Il passato non è sinonimo di patrimonio. Ci sono diversi modi per affrontarlo e collegarlo al presente, così come ci sono diversi modi per interrogarsi sulla sua eredità.
Il nostro studio «Temps, espaces et histoires: monuments et héritage raciste et colonial dans l’espace public genevois», pubblicato nel 2022 (1), propone un inventario selettivo, comparativo e storico dei monumenti e dell’eredità razzista, coloniale e schiavista nello spazio pubblico della Città di Ginevra. L’opera costituisce una fonte di informazioni e una base di analisi e riflessione su monumenti e simboli presenti nello spazio pubblico che hanno una connotazione razzista o sono collegati in qualche modo al colonialismo e alla schiavitù. Il lavoro svolto è fattuale e analitico e cerca di contestualizzare senza esprimere giudizi di valore.
L’obiettivo dello studio è fornire una sintesi concettuale delle conoscenze sul tema della memoria pubblica, della discriminazione razziale e del retaggio coloniale e arricchire concretamente il campo d’informazione, di riflessione e di azione per contribuire al processo di rivisitazione avviato dalla Città di Ginevra. Si tratta di una contestualizzazione storica basata su fonti primarie e secondarie pubblicamente disponibili.
Il risultato non sostituisce potenziali azioni o passi successivi da parte della Città, di associazioni della società civile o di iniziative di cittadini per la ricerca di soluzioni attuabili autonomamente al fine di rispondere alle sfide poste dalla memoria in tema di colonialismo, schiavitù o lotta contro il razzismo. Lo studio formula suggerimenti e offre strumenti per leggere e capire una storia poco o mal conosciuta.
La prima parte espone la natura della questione dei monumenti e dello spazio pubblico, della discriminazione e della colonizzazione, del rapporto con il passato, della storia occultata, della mancanza di conoscenze sul passato e delle implicazioni per il presente e il futuro nei contesti svizzero e ginevrino. La seconda individua una serie di luoghi e/o monumenti nello spazio pubblico della Città di Calvino che sollevano interrogativi sul razzismo o il colonialismo. La terza e ultima parte esamina diverse opzioni per gestire la situazione di monumenti e simboli controversi presenti nello spazio pubblico.
Il razzismo da noi preso in esame è soprattutto quello diretto contro le persone nere o di origine africana, ma comprende anche tutte le altre forme di razzismo o di discriminazione razziale come l’antisemitismo, il razzismo antimusulmano e anti-asiatico, l’antiziganismo e la xenofobia. La questione della giustizia di genere e di classe è parte integrante dell’analisi. Il colonialismo qui considerato fa riferimento alle attività extraterritoriali condotte dagli Stati europei dal XVI al XX secolo, è inteso in senso storico lato e include in particolare il periodo della schiavitù, dell’assoggettamento di tipo coloniale e della tratta di esseri umani iniziata nel XV secolo.
Nel contesto nazionale e internazionale di rimessa in discussione delle disparità e delle ingiustizie dovute alla discriminazione, la presenza negli spazi pubblici di elementi legati a persone, episodi o luoghi storicamente associati al razzismo, alla colonizzazione o alla schiavitù è oggetto dal 2020 di rivisitazioni fondate su un’azione pubblica. Monumenti eretti in memoria di uomini d’affari, militari, scrittori o politici fino ad allora considerati figure significative della storia, sono stati rimossi, deturpati o imbrattati a causa del coinvolgimento di questi personaggi in attività coloniali o delle loro idee razziste, discriminatorie o schiaviste. In questo contesto, in Svizzera, e più precisamente a Ginevra e Neuchâtel, sono state presentate petizioni o, come a Zurigo, sono stati pubblicati rapporti. Sempre a Ginevra, il 12 giugno 2020 è stata depositata al segretariato del Gran Consiglio una proposta di mozione per un inventario dei luoghi geografici che portano nomi associati al colonialismo, alla tratta degli schiavi o al razzismo, e per una migliore informazione pubblica su questo tema.
Le autorità pubbliche responsabili della concessione e della riqualifica degli spazi pubblici hanno un dovere di chiarezza: a tale proposito è fondamentale rammentare un concetto spesso dimenticato, e cioè che la gloria di ieri può essere la vergogna di domani. Le coordinate spazio-temporali della percezione storica mutano e lo stesso fanno le sensibilità, come pure la conoscenza (ossia la quantità e le fonti di informazione) e l’interpretazione del passato.
Voler fermare la storia è chimerico tanto quanto volerla cancellare. Il passato non è sinonimo di patrimonio. Ci sono diversi modi per affrontarlo e collegarlo al presente, così come ci sono diversi modi per interrogarsi sulla sua eredità. La questione della storicità dei monumenti si pone a più livelli che si intersecano fra loro e genera effetti multipli. La «messa sul piedistallo» è problematica, in quanto stabilisce una verità cementata e un’asimmetria di vedute riguardo a particolari rappresentazioni della storia e non la storia stessa.
Oggi, il problema dei monumenti controversi nello spazio pubblico si pone doppiamente in seguito a un accumulo storico di irresolutezza e a una contemporanea accelerazione della visibilità. Considerarlo una «moda passeggera» o circoscriverlo politicamente a «richieste comunitarie» significa andare fuori strada e ritardare una riflessione pubblica necessaria sulla complessa interazione tra monumento, storia e giustizia e sui criteri di valorizzazione nella storia pubblica. A essere denunciate o addotte sono le correlazioni attive o passive tra persone o eventi celebrati e il razzismo, il colonialismo o la schiavitù. Senza dimenticare il silenzio calato sul passato, che, di fatto, caratterizza l’assenza di reazione o il mantenimento di uno status quo umiliante dopo che questi aspetti sono stati sollevati.
Chi si oppone alla rimozione di statue, al cambiamento di nome di vie o ad altri aggiustamenti adduce due argomenti: il fatto che si tratta di simboli provenienti da un’«altra epoca» e il rifiuto di «cancellare» la storia. Nonostante le opposizioni e le esitazioni a entrare in materia, la complessità del problema non può esaurirsi nel perseguire regimi di verità suscettibili di delegittimare l’espiazione, presentandola come una liquidazione della storia.
La Svizzera è uno dei Paesi dell’Europa occidentale meno associati al colonialismo. L’idea e il mito dell’eccezionalità svizzera continuano a essere profondamente radicati nell’immaginario collettivo. Il fatto che, nello studio della colonizzazione, la Svizzera non sia menzionata o venga solitamente dimenticata ha indotto intere generazioni e l’opinione pubblica a credere a questa sua pseudo-eccezionalità. L’assenza di un colonialismo di Stato pone la Svizzera in una posizione oggettivamente diversa da quella di molti Paesi dell’Europa occidentale. Il colonialismo è tuttavia un sistema che trascende l’apparato statale o l’acquisizione di territori perché include dimensioni economiche e sociali. Con la Svizzera, il paradigma del dibattito coloniale cambia. In assenza di un colonialismo di Stato, la microquestione delle persone, delle loro scelte e dei loro percorsi di vita emerge con maggiore forza. Se non ci sono stati né un progetto coloniale dello Stato svizzero né una campagna imperialista propriamente detta né tantomeno zone d’influenza stabilite come tali, durante tutto il XIX secolo singoli individui o associazioni hanno comunque intrapreso molteplici azioni. Il mito dell’eccezionalità è contraddetto dai racconti di soldati, mercenari, compagnie, missionari e altri svizzeri che hanno partecipato a imprese coloniali e ne hanno tratto profitto. La Svizzera e Ginevra non sono state un’eccezione alla storia coloniale e non possono essere considerate come uno o più spazi proto-anticoloniali. La stessa popolazione svizzera ha mostrato di apprezzare gli «zoo umani» e le esposizioni razziste come quella del 1896.
Alla fine del XIX secolo, quando l’antropologia e l’eugenetica hanno fatto presa nelle università e nelle istituzioni pubbliche svizzere, i discorsi sulla protezione di una cosiddetta purezza svizzera fanno vieppiù riferimento alla razza. All’inizio del XX secolo, ci si è serviti del razzismo igienista e delle politiche e dei discorsi eugenetici per delimitare il perimetro del corpo e della nazione svizzera. È in questo contesto interno – fatto di reti, sostegni, amicizie e riflessioni strategiche che coinvolgevano esclusivamente cittadini svizzeri – che va esaminata la questione della partecipazione di alcuni membri dell’élite sociale, economica, finanziaria e politica svizzera e ginevrina, celebrati pubblicamente. Va altresì ricordato che, dalla metà del XIX secolo, in Svizzera ha visto la luce un sentimento antirazzista. Il dibattito sugli spazi pubblici a Ginevra è qualitativamente diverso da quello di altre città. Al di là delle considerazioni etiche universali e del quadro democratico o democratizzante presente anche altrove, Ginevra è una città estremamente eterogenea, una città della diversità, dell’integrazione, dei valori cosmopoliti e inclusivi, con un ruolo e un’ambizione di esemplarità.
A prescindere dall’opzione scelta, è fondamentale sviluppare una visione e spiegarla. Occorre istituire una politica pubblica generale con soluzioni ad hoc e a lungo termine, che includa la soluzione del problema delle statue e dei monumenti controversi e razzisti, ma anche l’elaborazione di criteri condivisi e documentati che indichino chi, come e dove onorare, riconoscere, commemorare o celebrare. Cancellare la storia non è un’opzione praticabile, come non lo è neppure quella di rendere continuamente e impunemente invisibili gli atti razzisti, schiavisti o coloniali del passato. Ciò che conta, in ultima analisi, è il senso che vogliamo dare a «quello che è successo» e non semplicemente il suo tramandamento fatalista e potenzialmente complice.
(1) Mohamed Mahmoud Mohamedou et Davide Rodogno, Temps, espaces et histoires : monuments et héritage raciste et colonial dans l’espace public genevois, Ville de Genève, 2022, https://www.geneve.ch/fr/themes/developpement-durable/municipalite/engagements-societe/egalite-diversite/diversite-culturelle/actions-sensibilisation/monuments-heritage-raciste-espace-public