TANGRAM 45

Le teorie del complotto non piovono dal cielo

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Lo storico Claus Oberhauser è docente e ricercatore alla Pädagogische Hochschule Tirol e all’Università di Innsbruck. claus.oberhauser@uibk.ac.at

In una prospettiva storica, le teorie del complotto non costituiscono un fenomeno nuovo e perlopiù passa molto tempo prima che riescano a infiltrarsi nella società. Con l’ascesa della politica post-fattuale, elementi ripresi da teorie complottiste di destra hanno nuovamente il vento in poppa.

A un certo momento, durante una delle ultime crisi del XXI secolo, siamo scivolati nell’era della post-verità, e sembra che molti siano diventati ciechi (dall’occhio destro). Nell’ultimo ventennio, nell’Europa centrale ma anche negli Stati Uniti, diversi avvenimenti hanno dato nuova linfa alle teorie complottiste: l’11 settembre, ad esempio, che ha favorito il diffondersi di una mentalità complottista (di destra), oppure il rafforzamento del populismo nativista, gli attacchi terroristici di estrema destra motivati da teorie complottiste, nonché il (ri)emergere di orientamenti di destra e la loro infiltrazione nella società, che si riflette in maniera evidente nell’utilizzo di concetti come quello della «sostituzione» nella dialettica politica sulla migrazione, come pure nei controversi dibattiti sul fenomeno migratorio in sé.

Come dimostra la storia, il pensiero complottista non è di per sé di destra. Gli sviluppi degli ultimi anni evidenziano però che sono ideologemi «di destra» ad aver acquisito spinta propulsiva nel dibattito pubblico: a tale riguardo, l’equiparazione tra la persecuzione degli ebrei da parte del nazismo e i controlli esercitati durante la pandemia di coronavirus costituisce un superamento dei limiti di assoluto pessimo gusto. L’esibire una stella gialla con la scritta «non vaccinati» è il simbolo di una provocazione e della relativizzazione delle sofferenze patite dagli ebrei.

Tra le cosiddette voci «fuori dal coro» si trovano comunque non solo simpatizzanti della destra ma anche della sinistra, tra cui persino ex elettori dei Verdi. Per descrivere questa situazione, Francis Fukuyama ricorre alla nozione di politica identitaria, o meglio di mancanza di una politica identitaria. Secondo Fukuyama, la contesa politica non è più tra le ideologie di destra e di sinistra, ma tra chi riesce a colmare meglio la percezione soggettiva di perdita di identità, un esercizio che allo stato attuale riesce con tutta evidenza molto meglio ai populisti di destra che alle forze che guardano a sinistra. Le considerazioni esposte di seguito non spiegano l’intera storia appena tratteggiata: verranno invece messi in evidenza alcuni elementi delle teorie complottiste di destra che continuano a produrre i loro effetti.

All’origine di tutto: la Rivoluzione francese

Le teorie complottiste si affermarono durante e dopo la Rivoluzione francese, riprendendo idee già emerse nel periodo prerivoluzionario. Nel 1797 questo pensiero cospirazionista culminò nella pubblicazione dei volumi «Mémoires pour servir à l’histoire du Jacobinisme» di Augustin Barruel (1741-1820), un ex gesuita fuggito dalla Francia e riparato a Londra, e «Proofs of a Conspiracy» di John Robison (1739-1805), professore di filosofia della natura all’Università di Edimburgo. Un’altra opera di tenore simile venne data alle stampe nel 1803 da Johann August Starck (1741-1816), predicatore di corte a Darmstadt. Malgrado le notevoli differenze, queste pubblicazioni avevano un minimo comune denominatore: l’attribuzione della Rivoluzione francese a una cospirazione promossa da filosofi e massoni radicali in combutta con gli Illuminati. A questi gruppi veniva imputata l’intenzione di voler diffondere l’«uguaglianza» e la «libertà» in tutto il mondo. Il rifiuto delle società segrete e l’accento posto sulla loro azione cospirativa sono elementi ancora oggi onnipresenti nelle teorie cospirative, così come la «lotta» contro il cosmopolitismo. Nelle odierne teorie del complotto (di destra), i cosmopoliti vengono definiti «globalisti» («globalists»).

Questa teoria del complotto, e soprattutto la paura degli Illuminati, presero piede anche negli Stati Uniti. Oltre agli ecclesiastici scozzesi, che raccomandarono «Proofs of a Conspiracy» a predicatori ed eminenti personalità americane, furono soprattutto immigrati a far conoscere il volume di Robison nel Nuovo continente o perlomeno nel New England. Ciò avveniva all’epoca dell’emanazione degli «Alien and Sedition Acts» (1798-1801), rivolti contro coloro che cercavano di iniziare una nuova vita negli Stati Uniti dopo la Rivoluzione francese e accusati di essere in verità Illuminati o Giacobini. Nella campagna per le elezioni presidenziali, i seguaci di John Adams tacciarono Thomas Jefferson di essere un adepto degli llluminati. Queste voci si placarono solo quando Jefferson divenne presidente nel 1801.
Alcuni anni dopo, nel 1828, venne fondato l’«Anti-Masonic Party», un partito populista ostile all’élite (ossia ai massoni) e favorevole al protezionismo doganale e a una migliore politica interna, che inizialmente riscosse un discreto successo. Questo partito ebbe una storia breve, ma costituisce una testimonianza precoce della correlazione tra populismi e teorie cospirazioniste.

Benché il complottismo di destra abbia spesso una matrice antisemita, le prime teorie sulle origini della Rivoluzione francese non presero di mira gli ebrei. La situazione cambiò però rapidamente quando Barruel, nel 1806, ricevette una lettera gravida di conseguenze inviatagli dal soldato Simonini dal Piemonte, in cui quest’ultimo gli comunicava che a beneficiare maggiormente della Rivoluzione non erano Illuminati o massoni, bensì gli ebrei, che tramavano già da tempo nell’ombra. Barruel rimase scioccato dal contenuto della missiva e chiese al Vaticano di valutare se ci si potesse fidare di Simonini. Malgrado quest’ultimo fosse stato giudicato attendibile, Barruel non pubblicò la lettera, di cui circolarono però diverse copie negli ambienti di destra di Parigi, Londra, Friburgo e San Pietroburgo. Si dovette attendere fino al 1878 per la prima pubblicazione della lettera, la quale in seguito venne spesso citata. La nota complottista Nesta Webster fu la prima persona a mettere in relazione questa lettera con i «Protocolli dei Savi di Sion».

I «Protocolli dei Savi di Sion»

Le origini delle teorie cospirazioniste contro massoni ed ebrei risalgono dunque senza dubbio al XVIII secolo. Nel corso del XIX secolo, questo schema complottista venne utilizzato come chiave interpretativa delle rivoluzioni e ripreso ripetutamente da autori apocalittici, in particolare in Russia. Fu proprio uno di questi scritti apocalittici a rendere celebri i «Protocolli dei Savi di Sion»: benché una loro prima versione sia già attestata nel 1903, essi raggiunsero la notorietà soltanto quando furono riprodotti in un libro del 1917 dello scrittore apocalittico Sergej Nilus (1862-1929). Secondo Nilus, l’imminente caduta della monarchia russa costituiva un segnale dell’Apocalisse e la «massoneria giudaica» era uno strumento di Satana. I Protocolli allegati al volume fungevano da prova del diabolico piano. Furono dunque la crisi, la rivoluzione in Russia, la fine della Prima guerra mondiale e il dissesto economico post-bellico a favorire la circolazione dei Protocolli. Diffuso dopo il 1918 in Europa e negli Stati Uniti da emigranti russi, il volume di Nilus uscì in seguito in svariate edizioni.

I Protocolli in sé consistono in un discorso di circa 60-80 pagine di un capo ebraico che rimane anonimo. Non è chiaro dove e quando fu tenuto tale discorso, in cui è descritto un piano giudaico-massonico piuttosto generico per la conquista del dominio mondiale e sono illustrate le strategie adottate per innescare rivoluzioni con l’aiuto dei massoni e per pilotare la stampa. Alla fine della congiura, un monarca universale eletto dai Savi anziani riunirà in sé tutto il potere e imporrà un nuovo ordine estremamente severo.

A lungo la ricerca è partita dal presupposto di una chiara origine dei Protocolli, su cui non ci si soffermerà in questa sede, ma nuovi studi di Michael Hagemeister attestano che il loro autore così come il loro scopo restano incerti.

Già nel 1921 i Protocolli furono smascherati come «falsi» dal quotidiano londinese «The Times», anche se sarebbe più opportuno parlare di plagio. Quale fonte principale venne individuato il «Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu, ou la politique de Machiavel au XIX e siècle» (1864) dell’avvocato francese Maurice Joly (1829-1878), opera però priva di allusioni a un complotto ebraico. Tale aspetto venne inserito dagli autori dei Protocolli con il cosiddetto «discorso del rabbino», che compare nel romanzo «Biarritz» (1868) di Herrmann Goedsche (1815-1878). I Protocolli trassero inoltre spunti anche da altre opere. Tra il 1933 e il 1937 si svolse un processo a Berna per accertarne le origini, che confermò i plagi.

I Protocolli vennero strumentalizzati anche dalla propaganda nazista, ma non ebbero un ruolo così importante come si potrebbe credere. Adolf Hitler vi accennò nel «Mein Kampf», ma la questione della loro «veridicità» e «autenticità» venne abilmente elusa. Goebbels, venuto a conoscenza dei Protocolli principalmente grazie a «L’ebreo internazionale» di Henry Ford, a seguito delle rivelazioni di «The Times», giunse alla celebre conclusione di credere alla loro veridicità intrinseca, ma non a quella fattuale. Una conclusione che può sembrare sorprendente, ma che in realtà riflette un aspetto ben noto del pensiero complottista: in primo luogo, non interessa tanto la verità, quanto piuttosto il fatto che è l’operato degli ebrei a fornire la prova sostanziale dell’attendibilità dei Protocolli; in secondo luogo, non è evidentemente il contenuto in sé, ma unicamente l’esistenza di un ipotetico piano e il mito creatosi attorno a essi a far sì che i Protocolli siano tuttora popolari.

I «Protocolli dei Savi di Sion» costituiscono un testo antisemita molto diffuso e continuamente riedito. Anche nel quadro del conflitto in Medio Oriente, assumono un’importante funzione ideologica per il fronte anti-israeliano – sono tra l’altro contemplati nella Carta di Hamas – poiché spiegano fino a che punto gli ebrei sarebbero disposti a spingersi.

Il mito dell’«Eurabia»

Con la strage compiuta in Norvegia nel 2011, Anders Behring Breivik ha scioccato il mondo intero. Nel «manifesto» pubblicato poco prima della carneficina sosteneva la tesi di un complotto tra i musulmani e le élite europee volto a islamizzare la società europea. Secondo questa teoria, l’identità europea, di per sé omogenea, è minata dall’immigrazione musulmana e svenduta dalle classi dirigenti del Vecchio continente. Già prima del «manifesto» di Breivik, tuttavia, erano apparse numerose pubblicazioni di tenore simile, tra cui trattati pseudoscientifici, romanzi e programmi politici di partiti europei anti-islamici e soprattutto anti-immigrazione.

I primi catalizzatori della teoria cospirazionista dell’«Eurabia» sono stati l’11 settembre e il risentimento anti-musulmano manifestatosi su scala mondiale dopo gli attacchi. Ulteriori impulsi sono giunti dalla crisi economica mondiale del 2008 e dalla cosiddetta crisi migratoria del 2014/15. In quel periodo in Ungheria è nata una teoria del complotto rivolta contro il finanziere e filantropo George Soros, in seguito ripresa anche dal partito di governo e arricchita di sfumature antisemite. Soros, ebreo di origini ungheresi, è accusato di essere il regista occulto della crisi migratoria, il cui vero obiettivo sarebbe la dissoluzione degli Stati nazionali europei. Oltre che in Ungheria, la tesi complottista dell’«Eurabia» ha trovato terreno fertile soprattutto nel movimento identitario e in PEGIDA. Soltanto a seguito della crisi migratoria questa teoria è giunta al grande pubblico.

Dalla «Umvolkung» alla «grande sostituzione»

Alla tesi dell’«Eurabia» si ricollega anche la teoria cospirazionista della «grande sostituzione», che non prende di mira unicamente i musulmani, ma pone direttamente l’accento sulla possibile perdita dell’identità europea «bianca». Questa teoria si basa su tre pilastri del pensiero di estrema destra: l’antisemitismo, l’islamofobia e il suprematismo bianco. Tra i bersagli figurano anche personalità come Soros, gruppi come gli ebrei e istituzioni quali l’UE.

Va sottolineata in particolare la parvenza intellettuale: mentre la nozione di «Umvolkung» (cambiamento forzato della composizione etnica della popolazione) è da tempo entrata nel lessico destrorso, il concetto di «grande sostituzione» è diventato la nuova parola d’ordine delle reti operative in cui è articolata la «Nuova Destra». Ad assumere grande importanza per questa corrente di pensiero è soprattutto l’opera di Renaud Camus «Le Grand Remplacement» (2011), a sua volta ispirata a varie teorie cospirazioniste preesistenti incentrate sulla presunta infiltrazione della società ad opera degli immigrati. Nel suo libro, Camus evidenzia la perdita di identità dovuta all’immigrazione e mette in guardia dalla «deculturazione», ossia dalla perdita della cultura europea. Secondo Camus, le élite tramano per attuare la «grande sostituzione» in base a un piano ordito da tempo. Egli sottolinea, tra l’altro, il potere del Forum economico mondiale di Davos («Davos-cracy») e lamenta che le più disparate persone, gruppi e istituzioni starebbero operando per rendere tutto sostituibile e quindi indistinguibile.

Le idee di Camus sono state riprese da estremisti di destra in Francia, nell’area germanofona, in Gran Bretagna e anche negli Stati Uniti. Durante i cortei suprematisti a Charlottesville nel 2017, i partecipanti scandivano lo slogan «You will not replace us». Nell’area anglofona, spesso in questo contesto si ricorre anche all’espressione «white genocide». Nel 2019 è fallito un attentato alla sinagoga di Halle. L’autore, un estremista di destra, era convinto che la Germania fosse infiltrata dalle élite ebraiche e che occorresse combattere il Governo d’occupazione sionista («Zionist Occupation Government», ZOG), un altro elemento ricorrente delle teorie complottiste dell’estrema destra. Lo stesso anno, un estremista di destra ha attaccato due moschee di Christchurch (Nuova Zelanda) causando la morte di 51 persone. Poco prima della strage, l’autore aveva pubblicato online il manifesto «The Great Replacement», inneggiando inoltre all’attentato di Breivik. Nel 2020 un estremista di destra, seguace di varie teorie complottiste, ha ucciso nove persone con un passato migratorio a Hanau (Germania). L’attentatore era anche un adepto di QAnon, movimento che crede nell’esistenza di un’élite satanista che rapisce bambini per estrarne sostanze ringiovanenti.

La «grande sostituzione» funge da espressione passe-partout volutamente generica. Le élite cosmopolite corrotte, i «globalisti», vengono dipinti come nemici dello Stato nazionale, del «popolo» e, in fin dei conti, della razza bianca. Il problema è che un qualunque episodio può suonare a conferma della teoria: ogni negozio musulmano che subentra a un’attività tradizionale può avvalorare la tesi complottista, così come ogni decisione presa ai più alti livelli a favore dell’immigrazione.

Conclusione

Le teorie del complotto efficaci non piovono dal cielo, ma hanno perlopiù alle spalle una lunga storia quando riescono a infiltrarsi nella società. Il loro successo dipende da diversi fattori: tra questi, gioca un ruolo decisivo lo scoppio di crisi che investono la società nel suo insieme. Perché soltanto la ricerca di senso, il sentimento d’impotenza e il desiderio di dialogo, comunità e identità che ne derivano fanno sì che le teorie cospirazioniste possano apparire come spiegazioni «plausibili» di eventi, sviluppi e circostanze. Il complottismo di destra è problematico in particolare alla luce dell’emergere della politica post-fattuale: tendenzialmente oggi sono soprattutto i populisti di destra a integrare elementi di simili tesi nella propria agenda politica e a ricavarne successi. Questo cosiddetto populismo nativista tende a costruire nemici esterni e ad accusare le élite interne di essere corrotte e coinvolte in una cospirazione («deep state»).

Le teorie cospirative possono anche sfociare in atti violenti come attentati o manifestazioni violente. Si tratta di un segnale d’allarme. Naturalmente ciò non significa che chiunque creda nel complottismo sia disposto a spingersi fino a questo punto, ma l’aumento dei casi deve indurre tutti noi a riflettere.

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