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«I complottisti possono trarre vantaggio dalle dinamiche dei social media»

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Katharina Nocun è pubblicista, esponente del movimento per i diritti civili, attivista della rete ed economista. Katharina.nocun@posteo.de Blog: https://kattascha.de

Intervista a cura di Theodora Peter

Come si diffondono le teorie del complotto sui social media? Quali strategie vi si celano dietro? Cosa si può fare per contrastarle? L’attivista della rete, esponente del movimento per i diritti civili e pubblicista tedesca Katharina Nocun studia da tempo questi temi.

Signora Nocun, ci può innanzitutto spiegare per quale motivo, nei Suoi libri, evita l’espressione «teoria del complotto» e parla soprattutto di «narrazioni» e «miti complottisti»?
Katharina Nocun: Le narrazioni complottiste sono quasi sempre affermazioni che la scienza ha confutato da tempo – per esempio che la Terra è piatta o che l’allunaggio non è mai avvenuto. A queste storie non va dato ulteriore credito elevandole al rango di teoria. Nel contesto politico, parliamo di ideologie del complotto anche per indicare che poggiano su determinate concezioni del mondo. Questo non significa che io sia dogmaticamente contraria all’uso del termine «teoria del complotto», semplicemente mi hanno convinto gli argomenti a favore dell’uso di altri termini, visto che, per l’appunto, non si tratta di teorie scientifiche.

Quale ruolo hanno i social media nella diffusione delle narrazioni complottiste?
Innanzitutto, bisogna tenere presente che le narrazioni complottiste non sono un fenomeno del tutto nuovo. Già durante la peste nel Medioevo circolavano numerosi miti complottisti antisemiti. Inoltre, non va dimenticato che nella Germania nazista la maggior parte della popolazione credeva nell’esistenza di un complotto mondiale ebraico, ciò che, in ultima analisi, ha spianato la strada all’Olocausto. Internet e i social media sono uno strumento nuovo per i complottisti. In questo contesto, le regole applicate dalle piattaforme per la diffusione dei contenuti giocano un ruolo importante. Per esempio, su YouTube una serie di algoritmi fa in modo che all’utente vengano proposti video che lo trattengono il più a lungo possibile davanti allo schermo. Questo stratagemma può incrementare la diffusione di contenuti complottisti o di estrema destra. Qualcosa di simile accade anche su piattaforme come Facebook, Instagram o TikTok, tutte fortemente incentrate sul numero di interazioni – ossia commenti, «mi piace» o «condividi» – generate dai post. I complottisti possono trarre vantaggio da queste dinamiche se i loro contenuti sono tra i più visualizzati.

Lei scrive che sulle piattaforme online sono sorti ecosistemi informativi a sé stanti. Cosa intende dire?
La scena complottista costituisce, per così dire, un microcosmo a sé stante con tanto di influencer, canali video, shop online, festival e persino viaggi. Immergendosi in questo ambiente, si incontrano numerosi attori che guadagnano con tali attività. È interessante notare che queste persone collaborano strettamente tra loro e fanno riferimento l’una all’altra. Gli influencer con un ampio seguito inoltrano costantemente contenuti di altri canali. Così facendo, ci si scambia reciprocamente follower, una strategia, questa, che è prassi corrente tra i normali influencer. A ciò si aggiunge il fatto che anche nella nicchia prosperano modelli di marketing propri. In tema di salute, questo costituisce un enorme problema: se la gente crede all’esistenza di un grande complotto della medicina e della scienza, è più facile che si lasci abbindolare da ciarlatani e santoni guaritori, e spenda grosse somme di denaro per rimedi che, nel peggiore dei casi, risultano altamente dannosi. Si pensi per esempio alla candeggina industriale, spacciata (a torto) come rimedio efficace contro il coronavirus. Le narrazioni complottiste possono causare grande dolore.

Può quantificare i contenuti razzisti che circolano in questi «ecosistemi»?
Già prima della pandemia di COVID-19 c’era un collegamento tra esoterismo, estremismo di destra e complottismo. Le sovrapposizioni sono in parte ampie. Le narrazioni complottiste antisemite fanno da sempre parte della propaganda dell’estrema destra e sono tuttora diffuse, anche se oggi non si parla più apertamente di odio verso gli ebrei, ma si utilizzano parole in codice come «globalisti» e si afferma che governano il mondo. Le narrazioni complottiste hanno svolto un ruolo anche negli attentati di estrema destra come quelli commessi ad Halle, Hanau o Christchurch. All’interno della loro narrazione, gli attentatori credono di essere, per così dire, i protagonisti della loro storia epica e di lottare contro un grande complotto. In questa narrazione, l’omicidio di innocenti viene considerato un atto eroico e la violenza assurge a opzione legittima di fronte a un presunto complotto che minaccia tutto. Chi ha dinanzi agli occhi un tale scenario terrificante e apocalittico è più disposto a fare cose che, diversamente, riterrebbe eccessive. Inoltre, le narrazioni complottiste rientrano in una strategia di immunizzazione: chiunque critichi o metta in discussione qualcuno viene immediatamente etichettato come parte del complotto. Questo meccanismo torna utile soprattutto ai gruppi di estrema destra o ai partiti con una concezione autoritaria della politica.

Oltre a quelli antisemiti, quali altri miti complottisti di stampo razzista circolano?
Negli ultimi anni, la teoria della «grande sostituzione» («Great Replacement») ha conosciuto un’ampia diffusione a livello internazionale. Questa narrazione complottista nata nella nuova destra francese sostiene che c’è un piano mirato di sostituzione della popolazione europea con le persone immigrate, ma non ne spiega il perché. Nelle varianti antisemite, l’investitore e filantropo ungherese-americano George Soros viene accusato di aver ordito un tale piano, il che è ovviamente una bugia. Questa narrazione è stata ripresa sia dal partito della Alternative für Deutschland (AfD) in Germania, sia dal movimento identitario che ha ramificazioni in diversi Paesi. Ciò che spaventa, è il fatto che il lessico della narrazione complottista circa una presunta «sostituzione della popolazione» si è nel frattempo infiltrato nel dibattito sociale più ampio. Quando un politico dell’AfD come Alexander Gauland dichiara che «in Germania la sostituzione della popolazione procede a passo spedito», è evidente che ha scelto un concetto che l’estrema destra interpreta come sostegno alla narrazione della «grande sostituzione». Bisogna anche tenere presente l’immagine che vi sta dietro, ossia quella di una società omogenea nella quale l’immigrazione, con la sua eterogeneità, non può esistere. Sostanzialmente si tratta della vecchia narrazione di estrema destra del presunto «genocidio bianco», che è a sua volta una narrazione di chiaro stampo razzista.

Cosa ci può dire dei miti complottisti di stampo razzista negli ambienti di sinistra?
Le narrazioni complottiste sono un fenomeno che tocca trasversalmente tutta la popolazione. Mentre l’estrema destra svolge un ruolo importante nella loro diffusione, negli ambienti esoterici queste narrazioni hanno spesso una forte connotazione antiscientifica e nella sinistra politica sono presenti soprattutto laddove, per esempio, invece di una critica strutturale al capitalismo vengono presi di mira singoli individui o attori. In tal caso, a volte persino i cliché antisemiti possono giocare un ruolo. Vi sono poi anche narrazioni complottiste con una connotazione religiosa: per esempio, tra gli evangelici statunitensi c’è chi sostiene che il Governo sia segretamente controllato da gruppi satanici.

Che cosa si può fare per contrastare le narrazioni complottiste?
Ognuno di noi può contribuire a frenare la diffusione di queste storie. Per farlo ci vuole coraggio civile. Chi sente queste narrazioni nella propria famiglia o nella propria cerchia di amici dovrebbe intervenire e osare una chiara rettifica, se ritiene che qualcosa sia sbagliato o provenga da una fonte dubbia. Spesso non ci si deve addentrare in grandi discussioni, basta mettere in chiaro la propria posizione. Secondo i consultori, l’ambiente sociale gioca un ruolo cruciale nel prevenire la caduta nella trappola del complottismo. La maggior parte delle persone, infatti, dà ancora retta al migliore amico o alla sorella, anche se crede a una grande cospirazione dei media. Prima si interviene, meglio è. Nei casi meno gravi, spesso è sufficiente una verifica dei fatti, ma se una persona è già fermamente convinta dell’esistenza di un complotto, risulta più difficile far valere i propri argomenti. Può allora tornare utile porle domande o semplicemente chiederle come sta. A volte il credere in una narrazione complottista può essere dovuto a una fuga mentale dai propri problemi. Le narrazioni complottiste sono molto abili nel far leva sui bisogni psicologici primari che ciascuno di noi ha. Tutti noi avvertiamo il bisogno di avere il controllo della situazione, di capire il mondo che ci circonda, di far parte di un gruppo o di sentirci speciali. Un intervento a livello emotivo parte proprio da qui. Dobbiamo chiederci: che cosa rende questa narrazione così allettante agli occhi dell’altro? Quali bisogni soddisfa? Come fare per eliminare il terreno sul quale prospera? Questo lavoro di analisi critica può essere un processo lungo e non sempre va a buon fine.

Che cosa possono fare i gestori delle piattaforme per contrastare la diffusione delle narrazioni complottiste?
Su Facebook, le notizie false sono sempre più spesso linkate a una verifica dei fatti condotta da organizzazioni di fact-checking esterne. Su YouTube, attualmente vengono visualizzati soltanto link a Wikipedia. Ma un testo sterile che accompagna un file video non è sufficiente per catturare l’attenzione degli utenti: servirebbe una verifica dei fatti vera e propria.

Bibliografia:

Katharina Nocun e Pia Lamberty, True Facts. Was gegen Verschwörungserzählungen wirklich hilft, Quadriga, 2021
Katharina Nocun e Pia Lamberty, Fake Facts. Wie Verschwörungstheorien unser Denken bestimmen, Quadriga, 2020
Katharina Nocun, Die Daten, die ich rief. Wie wir unsere Freiheit an Grosskonzerne verkaufen, Lübbe, 2018