Sintesi dell'articolo
«Le profilage racial du point de vue des victimes» (francese)
Autore
Denise Graf lavora come giurista nella Sezione svizzera di Amnesty International e si occupa, fra l’altro, delle violenze commesse dalla polizia.
dgraf@amnesty.ch
Amnesty International è regolarmente contattata da persone che si ritengono vittime del profiling razziale. Nel novembre del 2012, una persona originaria dell’Africa occidentale si è rivolta all’organizzazione per riferire la sua esperienza: un giorno, mentre camminava, è stata bruscamente fermata da diversi agenti di polizia, gettata a terra e, senza che le fosse comunicato il motivo, portata in commissariato dove le è stato chiesto di togliersi i vestiti per la perquisizione. Soltanto dopo aver appreso che la persona si trovava in Svizzera per motivi di studio, la polizia ha presentato le proprie scuse. Per la vittima, il profiling razziale è sempre un evento molto traumatico, che suscita un senso di umiliazione, esclusione e sgomento di fronte a un arbitrio incomprensibile. In caso di denuncia penale, queste pratiche spesso sono coperte dal procuratore incaricato o dai tribunali; inoltre, procedere penalmente contro la polizia è molto oneroso. La risposta dei consultori specializzati costituisce spesso un secondo trauma per le vittime, poiché le rimostranze di queste persone, appartenenti a minoranze visibili, non sono ascoltate con il dovuto senso critico e sovente sono liquidate con un generico «la polizia ha il diritto di procedere a controlli d’identità ».
Interpellare una persona con l’unico pretesto del sesso, della «razza», del colore della pelle, della religione, della lingua, dell’età , dello statuto, del modo di vestirsi o di qualunque altro criterio distintivo è totalmente arbitrario e va quindi vietato. Ai fini di un giudizio, è dunque fondamentale conoscere la valutazione compiuta dalla polizia prima di intervenire: ha soppesato accuratamente tutti gli indizi, ossia quelli che oggettivamente lasciano supporre il compimento di un’infrazione e quelli che invece sembrano palesemente contrari? Oppure ha agito con arbitrio basandosi soltanto su criteri che rientrano nel profiling razziale?