Autor
Matthieu Vétois è dottore in psicologia sociale all’Università di Ginevra. Matthieu.Vetois@unige.ch
I social media si sono affermati come strumento imprescindibile per la diffusione delle informazioni e l’interazione sociale. Per la loro modalità di funzionamento, costituiscono però anche una delle cause principali di un fenomeno preoccupante: la polarizzazione delle opinioni. Comprendendo meglio le origini e le manifestazioni della polarizzazione, possiamo elaborare strategie per ridurla e favorire un dialogo più costruttivo online.
Numerosi temi di attualità generano una polarizzazione in seno alla società e suscitano vivaci reazioni sui social media. Le prese di posizione sono spesso categoriche e controverse e lasciano poco spazio alle sfumature. I social media veicolano inoltre informazioni e immagini scioccanti e sovente decontestualizzate, il che accresce le tensioni. Per giunta, le discussioni politiche online sono spesso intrise di astio e caratterizzate da insulti e discriminazioni, in particolare di matrice razzista.
La grande quantità di contenuti di parte – per definizione divisivi – e di informazioni false presenti sui social media erode peraltro la fiducia nei fatti. Le persone si arroccano nelle loro identità partigiane, il che polarizza i fronti e complica l’intesa, la comprensione reciproca e la formazione di un consenso.
Ma che cosa si intende esattamente per «polarizzazione» e quali ne sono le cause? I social media sono sovente accusati di aggravare tale fenomeno, ma qual è precisamente il loro ruolo in questo processo e quali ne sono le conseguenze? Il presente contributo intende esplorare questi interrogativi dal punto di vista della psicologia sociale.
La letteratura su cui è basato il presente articolo si riferisce principalmente agli Stati Uniti e ai Paesi dell’Europa occidentale. Di conseguenza, la prospettiva adottata riflette il contesto socioculturale e politico di questi Paesi. Temi controversi in alcune realtà possono peraltro raccogliere un ampio consenso in altre.
La polarizzazione si manifesta sia nelle relazioni tra gruppi sia nei comportamenti individuali in seno a tali gruppi. Implica dimensioni affettive, cognitive e motivazionali che, nel loro insieme, contribuiscono a rafforzarla (Jost et al. 2022).
A livello di relazioni tra gruppi, la polarizzazione emerge quando le convinzioni e i comportamenti collettivi si radicalizzano opponendo un gruppo all’altro. Sul piano individuale si traduce in una radicalizzazione delle posizioni, nel rafforzamento dell’identificazione in un gruppo, così come nel rifiuto e nella delegittimazione di idee divergenti da quelle del proprio gruppo di appartenenza.
La polarizzazione può assumere una dimensione affettiva quando i membri di gruppi opposti non si limitano a sostenere idee contrastanti, ma iniziano anche a sviluppare sentimenti di ostilità reciproca. In questa fase, le persone possono provare emozioni quali collera e antipatia nei confronti degli appartenenti al gruppo opposto che contribuiscono a esacerbare le tensioni e i conflitti. Inoltre possono persino arrivare a trarre soddisfazione e gioia da eventuali difficoltà e sofferenze degli altri. Per contro, le persone tendono a nutrire maggiore empatia e simpatia per i membri del proprio gruppo e a indignarsi più fortemente quando questi subiscono delle ingiustizie (Zaki 2014). Sotto questo aspetto, le emozioni concorrono a rafforzare la polarizzazione, in quanto si manifestano in maniera selettiva e differenziata in funzione del gruppo di appartenenza.
Anche i bias cognitivi giocano un ruolo importante nel fenomeno della polarizzazione (Jost et al. 2022). Il bias di conferma induce a privilegiare le informazioni che avvalorano le proprie convinzioni e a ignorare quelle che le contraddicono. Questa interpretazione distorta della realtà contribuisce a rafforzare le proprie certezze. L’illusione di oggettività porta inoltre le persone a sottostimare i propri bias, riducendo la capacità di distacco critico dalle proprie opinioni, a sviluppare una percezione stereotipata e quindi ad avere un’immagine generalizzata o addirittura preconcetta dei membri del gruppo opposto.
Sul piano motivazionale, infine, le persone tendono a difendere le proprie convinzioni e quelle del loro gruppo di appartenenza per preservare l’autostima, un atteggiamento che accentua le differenze e limita l’apertura verso prospettive divergenti.
Il modello economico dei social media, basato sulla cattura e la monetizzazione dell’attenzione, esercita un ruolo chiave nella polarizzazione delle opinioni (Van Bavel et al. 2024). Per via della nostra tendenza a reagire innanzitutto a stimoli emozionali (collera, paura, empatia) e morali (giudizi di valore che oppongono il «bene» e il «male»), i contenuti che forniscono questo tipo di stimoli suscitano un particolare «coinvolgimento» (engagement) e sono dunque privilegiati dalle piattaforme (Brady et al. 2017). È proprio questo meccanismo che ha permesso alla foto di Aylan Kurdi, un bambino siriano in fuga dal suo Paese ritrovato morto su una spiaggia, di diventare virale, accrescendo l’empatia e la solidarietà per le persone rifugiate (Smith et al. 2018).
Questa dinamica può tuttavia anche acuire le divisioni e i conflitti. Grazie alla loro capacità di scioccare e suscitare indignazione, le pubblicazioni politiche che ricorrono a un linguaggio con una forte connotazione emozionale (come «odio» o «vergogna») o morale (come «guerra» o «punire») hanno maggiori possibilità di essere condivise e, pertanto, di diventare virali (Brady et al. 2017). L’accento posto su contenuti emozionali e morali accentua le divisioni politiche, mentre informazioni più equilibrate e meno sensazionaliste attirano minore attenzione.
Gli algoritmi dei social media sfruttano la nostra tendenza a reagire fortemente a stimoli emozionali e morali, favorendo la diffusione dei contenuti a più alto carico emozionale e maggiormente in grado di suscitare reazioni morali. Questi contenuti diventano così «stimoli supernormali» (Robertson et al. 2024). Per analogia, costituisce uno stimolo supernormale anche il fast food, poiché rappresenta una versione estrema degli alimenti che soddisfano la nostra preferenza innata per il cibo ricco e calorico.
A ciò si aggiunge il fatto che la maggioranza dei contenuti sui social media è pubblicata da una minoranza di persone con opinioni particolarmente radicali. Uno studio realizzato nel 2019 ha evidenziato che una piccola minoranza più polarizzata e impegnata (10 % degli utenti) è responsabile del 97 per cento delle pubblicazioni politiche su Twitter, pubblicazioni che fanno passare in secondo piano le opinioni più moderate della maggioranza (Atske 2019). A causa dei social media, la società appare quindi più polarizzata di quanto non lo sia effettivamente.
Non è invece chiaro se i social media favoriscano la creazione di camere dell’eco in cui le persone si confrontano unicamente con informazioni conformi alle proprie opinioni: la letteratura scientifica è infatti divisa su questo punto. Da un lato, i contenuti a sfondo morale ed emozionale circolano soprattutto all’interno di un medesimo gruppo politico, confermando così la teoria delle camere dell’eco (Brady et al. 2017). Dall’altro, però, i social media espongono le persone a una moltitudine di prospettive divergenti, il che può paradossalmente accrescere la polarizzazione (Bail 2023).
I conflitti e le espressioni di animosità tra gruppi aumentano il «coinvolgimento» sui social media (Rathje et al. 2021). Criticare o ridicolizzare esponenti di gruppi opposti costituisce una strategia efficace per attirare l’attenzione. Evocare gli avversari politici sui social media suscita infatti reazioni emotive intense come la collera o il dileggio, che rafforzano il «coinvolgimento» e contribuiscono alla polarizzazione.
I social media permettono anche di dimostrare la propria fedeltà a un gruppo e di stigmatizzare chi si discosta dalle norme condivise da tale gruppo (Van Bavel et al. 2024). Pertanto, manifestare indignazione su un tema politico può non soltanto rispondere all’esigenza di esprimere il proprio punto di vista, ma anche servire a testimoniare l’orientamento ideologico personale e l’appartenenza a un gruppo. Offendere e criticare le persone che divergono dalle norme del gruppo o vi si oppongono rafforza indirettamente la reputazione personale quale membro fedele e affidabile e consente, di conseguenza, di rafforzare il proprio status sociale. Per il modo in cui sono concepiti, i social media incoraggiano forme di «coinvolgimento» come l’oltraggio morale, lo shaming, vale a dire la messa alla gogna nello spazio digitale, e le ritorsioni contro chi è percepito come trasgressore e avversario dei valori del gruppo di appartenenza.
L’anonimato dei social media disinibisce infine alcune persone e le incoraggia a esternare opinioni ed emozioni che non oserebbero esprimere in un confronto faccia a faccia (Nitschinsk et al. 2022). Questa impunità relativa favorisce un comportamento ostile, mentre i commenti identificabili risultano generalmente meno incendiari (Cho et al. 2015).
Anche se i social media favoriscono una forte polarizzazione «percepita», quest’ultima non riflette per forza la polarizzazione «reale». La maggior parte delle persone ha infatti opinioni spesso più misurate e meno radicali di quelle espresse sui social media o addirittura non ha alcuna opinione. La percezione di una forte polarizzazione può tuttavia dissuadere gli individui con posizioni moderate dall’esprimersi sui social media per timore di essere attaccati da chi ha punti di vista più radicali (Bail 2023).
L’esposizione frequente a discorsi polarizzati sui social media favorisce peraltro un modo di pensare dicotomico che pregiudica giudizi più sfumati (Jackson et al. 2023). Sul piano affettivo, la sovraesposizione a contenuti emozionali può portare a sconforto o a una perdita di empatia per la sofferenza altrui (Robertson et al. 2024). Essere ripetutamente confrontati con discorsi d’odio online, specialmente contro persone migranti o di fede musulmana, rende inoltre insensibili alla gravità di questi discorsi e induce a tollerare la discriminazione e i pregiudizi (Bilewicz et al. 2020). Uno studio condotto in Francia ha evidenziato che l’esposizione frequente a contenuti mediatici negativi sull’immigrazione, in particolare sui social media, rafforza la convinzione che l’ideologia anti-immigrati dell’estrema destra sia diffusa e popolare, il che riduce il disagio emotivo e aumenta il sostegno nei confronti di tale ideologia (Vétois et al. 2024). Questo induce a ritenere che i social media possano contribuire a legittimare discorsi estremisti e discriminatori.
La polarizzazione sui social media non è inevitabile e ci sono soluzioni per porvi rimedio. Uno studio ha esaminato l’efficacia dei verificatori di fatti (fact checker) per combattere la disinformazione faziosa sull’immigrazione (Hameleers et al. 2020). Da questa ricerca è emerso che il lavoro di verifica dei fatti può effettivamente ridurre la polarizzazione, diminuire l’adesione a informazioni false e, al tempo stesso, moderare le posizioni espresse. Uno studio recente ha altresì dimostrato che adottare una prospettiva empatica e un atteggiamento non conflittuale sui social media può ridurre l’ostilità nei confronti di un gruppo politico opposto (Saveski et al. 2022). Un’altra indagine ha infine sottolineato l’importanza, per attenuare la polarizzazione, dell’umiltà intellettuale, vale a dire della consapevolezza che le convinzioni e le conoscenze possono essere inesatte o limitate (Knöchelmann et al. 2024). In base a questa indagine, chi dà prova di umiltà intellettuale è meno ostile nei confronti di chi esprime punti di vista diversi. Sempre secondo questo studio, l’umiltà intellettuale favorirebbe una visione più positiva degli avversari politici e accrescerebbe la volontà di coltivare il dialogo con altri gruppi.
In sintesi, l’analisi del problema sotto il profilo della psicologia sociale indica che i social media offrono un terreno propizio alla polarizzazione: la viralità dei contenuti emozionali, morali ed estremi, il bisogno degli utenti di testimoniare la propria appartenenza a un gruppo e la propensione a difendere i valori del gruppo formano infatti una miscela esplosiva. Gli studi in materia mostrano tuttavia che è possibile attenuare la polarizzazione anche incoraggiando il ricorso a verificatori di fatti, favorendo l’empatia e la distanza critica nei confronti dei contenuti e promuovendo l’umiltà intellettuale.
Ad ogni modo, è cruciale esaminare la polarizzazione e gli interventi per mitigarla con uno sguardo critico. Oggi numerosi conflitti sociali sono analizzati in questa prospettiva. Questo approccio presuppone tuttavia implicitamente che i gruppi contrapposti siano in una posizione di parità, il che non è sempre il caso, dato che spesso sussistono disparità. Le lotte per i diritti fondamentali, contro l’oppressione e la discriminazione comportano spesso una polarizzazione. In simili circostanze, i membri dei gruppi svantaggiati rivendicano i loro diritti, mentre quelli dei gruppi privilegiati vi si oppongono per mantenere lo status quo a proprio favore. In questi casi, è legittimo interrogarsi se il problema consiste nella polarizzazione o piuttosto nella disparità tra i gruppi. Quando la polarizzazione si manifesta tra gruppi di status ineguale, l’opportunità degli interventi volti a ridurla appare dubbia.
Alcune ricerche hanno in effetti evidenziato che, in queste situazioni, indurre i membri dei gruppi contrapposti a instaurare contatti e adottare una prospettiva non conflittuale non rimette in questione le disparità. Al contrario, simili interventi distolgono l’attenzione dalle misure politiche necessarie per affermare la parità e porre fine all’oppressione subita dal gruppo svantaggiato (Hakim et al. 2023). Invitare i membri di gruppi i cui diritti sono calpestati a dare prova di umiltà intellettuale appare peraltro un atteggiamento paternalistico, anche se le loro lotte sfociano in una polarizzazione. Interventi del genere sembrano dunque più appropriati quando i gruppi contrapposti si trovano su un piano di parità.
Le fonti e i riferimenti bibliografici sono riportati nel PDF.