Martine Brunschwig Graf è la presidente della Commissione federale contro il razzismo (CFR)
Lo scorso 11 settembre, la Commissione federale contro il razzismo (CFR), il Centro svizzero Islam e società (CSIS) dell’Università di Friburgo e il Centro di ricerca sulle religioni (ZRF) dell’Università di Lucerna hanno organizzato congiuntamente un convegno sull’ostilità verso i musulmani. Il presente numero di Tangram permette a chi legge di farsi un’idea del tenore delle conferenze tenute dagli oratori presenti quel giorno all’Università di Friburgo. Esperti, studiosi e diretti interessati, le loro analisi e i loro pareri illustrano l’argomento da angolazioni diverse, ma con il rigore e la serietà che ci si attende da un convegno di questo genere.
Perché scegliere un tema come l’ostilità verso i musulmani? Alcuni se ne sorprendono perché convinti che gli episodi di ostilità censiti non giustifichino un tale dibattito. A chi la pensa così si può rispondere che per farsi un’idea del contesto generale non basta contare soltanto gli episodi di cui vengono a conoscenza i consultori e i servizi di ascolto. Bisogna anche leggere quello che viene scritto e affermato sui social media e nei blog pubblicati sui siti dei giornali. Le dichiarazioni che vi vengono fatte sono spesso violente, al limite del penalmente perseguibile. Gli atti terroristici e i crimini commessi in nome dell’Islam nel mondo servono da pretesto per giustificare il rifiuto, e talvolta l’odio, nei confronti della comunità musulmana e in particolare dei musulmani che vivono in Svizzera. L’ultimo esempio in ordine cronologico, la profanazione dell’area musulmana in un cimitero di Losanna, mostra che il passaggio ai fatti non può mai essere escluso a priori.
Ma anche quando restano soltanto parole, queste dichiarazioni e reazioni di rifiuto, sovente accompagnate da video pescati su siti di informazioni montate ad arte, si propagano a macchia d’olio e favoriscono l’aggregazione di persone che condividono l’avversione per l’Islam e l’ostilità verso chi professa questa religione.
In Europa «i musulmani sono ben integrati, ma non sempre accettati»: questa è una delle conclusioni di un recente studio pubblicato dalla fondazione Bertelsmann. La Svizzera ne esce abbastanza bene in termini d’integrazione, ma il grado di accettazione non è ottimale. È un dato di fatto che va riconosciuto e di cui dobbiamo valutare la natura, le ragioni e le dimensioni.
Abbiamo volutamente scelto di concentrarci su questo tema ben sapendo che gli altri aspetti, legati in particolare alla sicurezza o alla radicalizzazione, sono e saranno trattati in altra sede, per esempio nel quadro di un corso di formazione continua organizzato dal CSIS il 26 e 27 febbraio 2018 dedicato al fenomeno della radicalizzazione e alla sua prevenzione.
La CFR non è ingenua. Lottare contro l’ostilità verso i musulmani non ci impedisce di riconoscere la necessità di adottare tutte le misure che s’impongono per evitare che la popolazione, indipendentemente dalla professione o meno di una religione, debba subire direttamente o indirettamente i misfatti della radicalizzazione e del terrorismo.
Alcuni vedranno nella scelta dell’ 11 settembre come data per questo convegno una provocazione. A torto. Tutti i crimini che i terroristi pretendono di commettere in nome dell’Islam devono essere denunciati, i loro autori perseguiti e puniti, le vittime onorate e ricordate.
Ma i crimini di cui sono vittima molte persone innocenti non devono servire da pretesto per respingere una popolazione a causa nella sua appartenenza religiosa. I musulmani che vivono in Svizzera godono degli stessi diritti e hanno gli stessi doveri previsti per tutti dalla Costituzione federale e dalle leggi di questo Paese. Hanno pertanto il diritto al rispetto e alla dignità garantiti a ciascuno di noi.
Il 25 settembre 1994, il Popolo svizzero ha approvato l’articolo 261bis del Codice penale, che condanna chi incita pubblicamente all’odio o alla discriminazione contro una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia o religione.
Questo significa che la religione non può e non deve essere un pretesto per discriminare o istigare all’odio. E questo vale per tutte le religioni, a prescindere da quello che si pensa della religione in generale o di una religione in particolare. Il convegno rientra in quest’ordine d’idee.
La CFR proseguirà il dialogo con gli attori della società interessati al problema – associazioni, poteri pubblici, partiti politici, media, studiosi – e metterà l’accento sui punti seguenti: