Sintesi dell'articolo
«Die Überfremdungsangst wurde zu einer Chiffre für Antisemitismus». Bergier-Kommissionsmitglied Jakob Tanner im Interview» (tedesco)
Jakob Tanner è professore emerito di storia contemporanea e storia svizzera all’Università di Zurigo. Dal 1996 al 2001 ha fatto parte della Commissione di esperti indipendente Svizzera – Seconda guerra mondiale, nota anche come Commissione Bergier (dal nome del suo presidente, Jean-François Bergier).
tanner@fsw.uzh.ch
Sintesi: Theodora Peter
Lo storico zurighese Jakob Tanner ha fatto parte della Commissione Bergier, la commissione di esperti indipendente che alla fine degli anni 1990 ha analizzato il ruolo della Svizzera nella Seconda guerra mondiale mettendo a nudo la matrice antisemita che ha fortemente caratterizzato l’attività delle autorità dell’epoca.
Approfondendo ricerche già in corso, la Commissione Bergier ha dimostrato che «negli anni 1930 la politica dei rifugiati, la xenofobia e la paura dell’inforestieramento divennero sempre più espressioni cifrate dell’antisemitismo», spiega Jakob Tanner nell’intervista rilasciata a TANGRAM. In effetti, uno degli obiettivi più importanti dell’epoca era di preservare la Svizzera dall’«ebraizzazione». Basti pensare al cosiddetto «soccorso ai fanciulli», nel quadro del quale la Svizzera accolse circa 60 000 bambini: i bambini ebrei restarono esclusi dall’intervento umanitario fino alla fine della guerra. «Nella politica dei rifugiati, la Svizzera si attenne alle definizioni nazionalsocialiste.»
La Commissione Bergier fu istituita non da ultimo per far luce sugli averi in giacenza. Tanner ricorda che tutti i tentativi di obbligare le banche svizzere a restituire gli averi degli Ebrei assassinati dai nazisti attuati nel dopoguerra «sono stati definiti ‹tentativi di saccheggio dei valori patrimoniali depositati in Svizzera› e respinti in virtù del segreto bancario». L’immagine dell’Ebreo «interessato soltanto al denaro» è stata utilizzata fino alla metà degli anni 1990. Quale esempio, Tanner cita un famoso discorso tenuto da Christoph Blocher nel 1997 in cui il politico zurighese, parlando della Svizzera nella Seconda guerra mondiale, si servì a piene mani di stereotipi antisemiti, come ebbe a constatare in seguito anche il tribunale distrettuale di Zurigo.
Mentre a livello internazionale la questione degli averi in giacenza fu seguita con molta attenzione per tutto il dopoguerra, «in Svizzera, dove dominava un’immagine immacolata della propria storia, si aveva la sensazione che il problema fosse risolto». Fino alla fine degli anni 1990, il nostro Paese ha sistematicamente eluso tutte le occasioni di intavolare serie trattative con gli accusatori ebreo-americani. «Non ci si era resi conto che già negli anni 1980, ma ancora di più dopo la fine della Guerra fredda, a livello internazionale si era discusso intensamente di restituzioni e di politica della memoria.» Ancora nella primavera del 1996 ci si illudeva di poter respingere senza se e senza ma le richieste di restituzione degli averi in giacenza. Si scatenò così l’ira degli accusatori, che aumentarono massicciamente la pressione. Alla fine dello stesso anno, il Parlamento e il Governo ruppero l’impasse, istituendo tra l’altro la commissione di esperti.
Dopo la pubblicazione, nel 2001, del rapporto Bergier, Tanner avrebbe auspicato una discussione pubblica più seria dei risultati della ricerca da parte delle autorità. Ritiene tuttavia che grazie ai resoconti dei media, a un nuovo strumento didattico introdotto nelle scuole e alle discussioni stimolate nella società si sia già ottenuto qualcosa.