Sintesi dell'articolo
«Humor muss man ernst nehmen» (tedesco)
Urs Güney ha studiato germanistica e assolto un praticantato di un anno al Servizio per la lotta al razzismo SLR. Attualmente scrive come giornalista indipendente per NZZ Campus e altre pubblicazioni.
urs_gueney@gmx.ch
Come è usato l’umorismo nelle comunità di migranti? Shpresa Jashari ha analizzato il problema considerando per esempio come in passato, prima che si potessero captare emittenti televisive straniere, le famiglie di migranti importassero dai Paesi d‘origine videocassette con musica e scenette comiche. È emerso che attraverso la comicità sono stati affrontati e continuano a essere affrontati problemi seri. Non da ultimo il rapporto tra gli emigrati e la società d’origine e le differenze di percezione, ma sempre nella prospettiva e a condizione di un’appartenenza di fondo. Questa realtà si riflette anche nella produzione di comicità. E i nuovi media potenziano il fenomeno: chi carica un video su Youtube deve essere consapevole che non lo possono vedere soltanto gli amici in Svizzera, ma anche lo zio in Kosovo. Inoltre, con la comicità sono messi in dubbio principî e norme della società di accoglienza. In questo senso, la comicità può sovvertire rapporti di potere e smascherare pregiudizi ed è uno strumento di autoempowerment. Ci si deve però chiedere chi può ridere di chi. In termini più semplici e politicamente corretti: chi è socialmente debole può ridere di sé e anche di chi è socialmente forte, chi è forte invece non può ridere di chi è debole. Perché ridere significa sempre anche valutare. Di conseguenza ci si deve chiedere chi coinvolge chi e se la comicità e il ridere come attività riflessive non comincino a modificare le concezioni di chi le pratica o a sostenere i rapporti di potere vigenti. Come nel rapporto tra i migranti e la loro società di origine, si potrebbe però trattare di un confronto con la società di accoglienza affrontato da chi ha scelto la via della convivenza.