TANGRAM 48

«Nel dibattito polarizzato è in gioco l’egemonia dei valori»

Autore

Denise Traber è professoressa associata di sociologia politica all’Università di Basilea. Tra i suoi ambiti di ricerca figura la polarizzazione nei sistemi multipartitici. denise.traber@unibas.ch

Intervista a cura di Theodora Peter

La polarizzazione ha diverse sfaccettature. Nel dibattito pubblico, questa nozione è vieppiù impiegata per definire un determinato tipo di discussione. Per Denise Traber, ricercatrice ed esperta di polarizzazione, è importante distinguere tra un dibattito astioso e la questione se la società si stia polarizzando per questo motivo.

Come definirebbe la nozione di «polarizzazione» nel contesto dell’opinione pubblica?
Denise Traber: Nelle scienze politiche il concetto di «polarizzazione» era in origine utilizzato per caratterizzare il sistema partitico, ossia si riferiva all’orientamento ideologico dei partiti e alla distanza tra sinistra e destra. Per l’opinione pubblica indica la scelta di votare per un partito di sinistra o di destra e il grado di divergenza delle posizioni politiche nella popolazione. In tempi più recenti, l’accento è stato posto sulla contrapposizione tra persone con orientamenti politici diversi, ossia su quanto sia forte l’avversione nei confronti di chi non la pensa allo stesso modo. Questo aspetto, definito «polarizzazione affettiva», emerge soprattutto in relazione a determinate questioni che suscitano forti emozioni come il cambiamento climatico o la migrazione. Nel dibattito pubblico il termine polarizzazione viene però utilizzato in misura crescente anche per indicare un certo tipo di discorso. In questo modo l’attenzione è focalizzata sull’inconciliabilità delle posizioni e sul carico emozionale della discussione. Questa definizione non è scientifica ma molto diffusa, per cui non la possiamo ignorare.

Che cosa si intende concretamente per «polarizzazione ideologica» e «polarizzazione affettiva»? Quale ruolo assumono in questo contesto le identità?
Per la ricerca rivestono grande importanza gli sviluppi negli Stati Uniti, dove da diversi decenni si assiste a una «polarizzazione ideologica»: la sinistra – i democratici e i cosiddetti «liberal» – si è spostata tendenzialmente più a sinistra, mentre la destra – i repubblicani – più a destra. La polarizzazione ideologica concerne le posizioni assunte, ad esempio, in merito alle pari opportunità delle minoranze o all’aborto. Detto altrimenti, valori «liberal» si contrappongono a valori conservatori. È importante sottolineare che negli Stati Uniti si è verificato un fenomeno di social sorting, ossia l’elettorato democratico e quello repubblicano sono divenuti gruppi sempre più omogenei al loro interno. Non si sa però con esattezza se le persone siano diventate effettivamente più estremiste o se entrambi i partiti abbiano attirato in misura crescente elettori con posizioni simili. Non è nemmeno certo che la distanza ideologica tra i poli negli ultimi anni sia ulteriormente cresciuta.
Appare invece assodato che il senso di coesione all’interno dei rispettivi gruppi si sia rafforzato e che le identità personali vengano definite tramite l’appartenenza a uno dei due partiti. Ne consegue una valutazione positiva del proprio gruppo ma anche, al tempo stesso, il rifiuto del gruppo opposto, sia sotto il profilo emozionale che per quanto riguarda i valori e lo stile di vita. La polarizzazione «affettiva» designa proprio questa componente emozionale. Un fenomeno simile può tuttavia verificarsi soltanto in un sistema bipartitico come quello degli Stati Uniti, dove è possibile anche una segregazione spaziale. Si tende infatti ad abitare in zone politicamente omogenee, motivo per il quale si hanno pochissimi contatti con chi la pensa diversamente.

Questa polarizzazione affettiva è riscontrabile anche in Europa e in Svizzera?
Le tendenze osservate negli Stati Uniti non valgono necessariamente anche per la realtà europea e svizzera. Innanzitutto, da noi non vi sono due gruppi contrapposti e in secondo luogo l’identità personale non si definisce in modo così spiccato tramite l’appartenenza a un’area politica o a un partito. Stando agli studi condotti, è certamente vero che gli elettori di sinistra tendono a nutrire un’avversione per quelli di destra e viceversa, ma non si registrano cambiamenti significativi nel tempo a questo proposito. Per quanto riguarda la Svizzera, è stato riscontrato che il legame con il proprio gruppo o partito risulta più forte del rifiuto del gruppo opposto. In questi casi, si parla di una forte appartenenza in-group che prevale sull’avversione verso l’out-group. Tale constatazione vale peraltro unicamente per i partiti: l’appartenenza politica rappresenta soltanto una delle numerose identità possibili e in merito ad altri gruppi si sa molto meno. Attualmente lavoro a un progetto di ricerca incentrato sulle appartenenze di classe sociale, i cui primi risultati sono attesi fra qualche mese.

In Svizzera la polarizzazione sociale sta crescendo rispetto all’estero?
Limitandoci alla polarizzazione ideologica, la Svizzera ha anticipato i tempi rispetto ai Paesi limitrofi. La polarizzazione politica piuttosto forte che conosciamo in Svizzera risale già agli anni 1990. Negli anni 1980 si sono affermati nuovi partiti di sinistra come i Verdi e temi di sinistra come la solidarietà internazionale, la parità di genere e questioni legate ai diritti civili. L’ascesa della destra può essere interpretata in parte come una reazione (backlash) a questo fenomeno. In seguito, l’UDC si è posizionata più a destra e la sinistra è rimasta tendenzialmente a sinistra – parecchio a sinistra nel confronto con l’estero. Da studi più recenti non emergono segnali che negli ultimi 10–20 anni la distanza tra questi poli si sia accentuata ulteriormente. In Germania e in Francia, questa polarizzazione politica e ideologica si è manifestata invece più tardi.

Quale influsso esercita il contesto internazionale, come il conflitto nel Vicino Oriente, sulla polarizzazione del dibattito?
Come ricordato all’inizio, nei media si parla sempre più spesso di dibattito polarizzato, espressione con cui si intende uno scambio di opinioni incivile o l’irrigidimento dei fronti, che traspare anche nei mezzi di comunicazione e nei forum online. In un contesto di crescente insicurezza, dovuto a guerre o altre minacce come il cambiamento climatico, è facile che il dibattito diventi più astioso. Anche la logica attuale dei media di massimizzare il numero di clic facendo appello alle emozioni contribuisce a questo fenomeno. Dichiarazioni scioccanti e provocatorie attirano l’attenzione, il che aiuta la diffusione di messaggi populisti di destra.
Trovo a volte discutibile che questa dinamica venga definita come polarizzazione: personalmente, parlerei piuttosto di dibattito conflittuale, ma evidentemente vi è la percezione diffusa di una polarizzazione, confermata anche dai sondaggi. Mi preme però ribadire che gli orientamenti politici, vale a dire quello che chiediamo alla politica, sono relativamente stabili ed evolvono in un arco di tempo molto lungo.

Come incide la polarizzazione sulla coesione sociale?
In veste di ricercatrice dovrei innanzitutto analizzare in che cosa consiste la coesione sociale. Se osservo i media, noto che è in effetti diventato più difficile discutere in maniera spassionata. Forse in Svizzera il desiderio di armonia è troppo forte, oppure non siamo abituati a confrontarci duramente. Occorre distinguere tra un dibattito astioso e la questione se la società si stia polarizzando per questo motivo. La Svizzera è piccola è inevitabilmente ci si incontra, nel proprio quartiere o all’interno di un’associazione. Se paragonata a quella di altri Paesi, in Svizzera la segregazione sociale non è così pronunciata. Da questo punto di vista non ci troviamo a un punto di non ritorno. Vi sono inoltre diversi partiti e le forze di centro rappresentano un terzo dell’elettorato. Il sistema politico improntato al compromesso, all’equilibrio e alla concordanza ha un forte effetto stabilizzante e la democrazia diretta funge da valvola di sfogo. Le discussioni sono sì accese, ma perdono di intensità dopo le votazioni. Non vi sono segnali dell’esistenza di gruppi che non riconoscono le decisioni scaturite dalle urne.

Quando la polarizzazione diventa un pericolo per la società, soprattutto in relazione al razzismo e all’emarginazione delle minoranze?
Un rischio sussiste quando decisioni adottate democraticamente non vengono più riconosciute: una situazione del genere si verifica ad esempio se, dopo una sconfitta alle urne, le regole della politica sono messe in discussione. Le istituzioni democratiche sono importanti e possono servire da contrappeso. I diritti democratici sono anche i diritti delle minoranze. È pericolosa anche l’idea di limitare tali diritti a un determinato gruppo: in Francia, il Rassemblement National chiede ad esempio che le prestazioni sociali vengano concesse soltanto ai cittadini francesi.
È difficile dire se tutto ciò sia una conseguenza della polarizzazione. Il razzismo o forme di nazionalismo che vanno a braccetto con la xenofobia e la polarizzazione nel suo complesso hanno cause simili, vale a dire il rafforzamento dei partiti di estrema destra e uno sdoganamento dei discorsi di destra. Per me, i pericoli evocati in precedenza fanno piuttosto parte della polarizzazione e non ne sono una conseguenza. Gli studi evidenziano che, non appena partiti populisti di destra entrano in Parlamento, si assiste a uno spostamento sul piano dei valori. Una rappresentanza più ampia di partiti di destra in Parlamento è un segnale per la popolazione che le loro posizioni sono in fondo accettabili.

La polarizzazione ha anche aspetti positivi?
Entro certi limiti, la polarizzazione può anche aiutare a combattere la normalizzazione di posizioni estreme. Come già ricordato in precedenza, la polarizzazione affettiva comporta il rifiuto delle altre posizioni. In quest’ottica, la formazione di un contromovimento può garantire una certa protezione. Per fare un esempio, le manifestazioni contro la AfD in Germania possono essere interpretate come un segno della polarizzazione, ma anche come un meccanismo di difesa contro la diffusione di posizioni di estrema destra.

Quali conseguenze comporta, per la prevenzione del razzismo, il crescente rifiuto di chi la pensa diversamente?
Prevenire il razzismo risulta in generale più difficile se lo sdoganamento degli atteggiamenti xenofobi viene relegato a questione ideologica. Per me, fare appello alla solidarietà non è facile quando determinati comportamenti o affermazioni sono considerati vieppiù «normali».

La strumentalizzazione politica della lotta al razzismo e all’antisemitismo promossa da alcuni attori politici e mezzi di comunicazione favorisce la polarizzazione?
Questa strumentalizzazione è parte di una strategia che attualmente sembra funzionare e anche di un dibattito polarizzato in cui la posta in gioco è l’egemonia dei valori. Le conseguenze di questa contrapposizione sono difficili da prevedere.

Vi sono altri aspetti del dibattito sulla polarizzazione che Le sembrano importanti?
Ritengo fondamentale porre maggiormente l’accento sugli aspetti positivi della coesione sociale, aspetti che si tende a dimenticare quando si parla di polarizzazione sociale. Per fare un esempio, in una votazione il Popolo svizzero ha approvato il «matrimonio per tutti». In generale, il dibattito sulla parità delle identità sessuali denota una maggiore apertura rispetto a qualche anno fa. In Svizzera ci sono molte cose che ci accomunano e la maggior parte delle persone convive pacificamente. E quando c’è una discussione accesa, in seguito le acque si calmano nuovamente.