TANGRAM 48

Accettare l’ambiguità nella società post-migratoria

Autori

Studiosa della cultura al ZIID dal 2019, Hannan Salamat crea e cura nelle regioni germanofone spazi che invitano a riflettere sulla democrazia pluralista, sulla cultura della memoria, sull’intersezionalità e sul senso di appartenenza.

Dina Wyler ha studiato a Zurigo e Boston scienze politiche, relazioni internazionali e religione, specializzandosi in antisemitismo, pluralismo (ebraico) e cultura svizzera della memoria.

Alla luce dell’odierna società multipolarizzata e delle nostre identità pluridimensionali, vale la pena di riflettere su come si possa rafforzare la coesione sociale. Hannan Salamat e Dina Wyler illustrano il loro lavoro all’Istituto per il dialogo interreligioso di Zurigo.

Da molti anni, l’Istituto per il dialogo interreligioso di Zurigo («Zürcher Institut für interreligiösen Dialog» ZIID) fornisce un contributo importante alla comprensione reciproca e alla promozione della convivenza nella nostra società pluralistica e multiprospettica. Se all’inizio era rivolta all’«esplorazione dell’altro» con le sue festività e i suoi riti religiosi, oggi l’attenzione del ZIID è focalizzata sulla questione fondamentale del ruolo della pluralità religiosa in seno alla società. Per via di questa evoluzione, il nostro lavoro deve tuttora fare i conti con l’immagine, un po’ obsoleta, del dialogo interreligioso visto esclusivamente come una conversazione teologica tra un rabbino, un prete e un imam. Simili conversazioni sono importanti e continuano ad avere luogo, ma il nostro operato si rivolge a un pubblico più ampio con identità religiose complesse e stratificate, ovvero alla società post-migratoria quale è la Svizzera di oggi. Il nostro obiettivo è stimolare la riflessione sull’idea, stereotipata, di comunità religiose omogenee che coesistono l’una accanto all’altra, e promuovere un dialogo incentrato sulle esperienze e le identità religiose delle singole persone. Si può infatti avere un’identità religiosa senza definirsi religiosi o senza essere parte di una comunità religiosa organizzata. Questa identità può persino essere il frutto di attribuzioni esterne di natura razzista, per esempio l’essere etichettati come musulmani per il proprio aspetto.

Progetto «not_your_bubble»

In Svizzera, i progetti in corso fanno spesso leva sull’incontro, un aspetto sicuramente importante e che può costituire un primo passo significativo. Gli incontri da soli, però, non bastano per contrastare le sfide poste dall’antisemitismo e dal razzismo antimusulmano di natura strutturale. Qui entra in gioco il progetto «not_your_bubble» del ZIID, che offre una piattaforma all’interfaccia tra cultura, politica e società civile e apre nuovi spazi a giovani impegnati desiderosi di plasmare attivamente il dibattito pubblico. Diversi eventi culturali mettono in luce punti di vista di persone musulmane, ebree e con retroterra migratorio che partecipano in modo autodeterminato al dialogo. Uno dei cardini del progetto è dare a queste persone la possibilità di definire autonomamente i temi e uscire dalla modalità reattiva cui sono sovente confrontate. Ne sono scaturite iniziative come il «Transalpine Festival», in cui artisti e collettivi svizzeri, tedeschi e austriaci stabiliscono temi prioritari di interesse globale. La creazione di nuove categorie e lo spostamento della prospettiva dalle differenze all’emancipazione permettono di compiere il passo successivo alla politica identitaria. Oltre alle tavole rotonde, l’arte è uno degli strumenti principali per la creazione di spazi in cui superare il pensiero binario. Tutti gli eventi organizzati finora erano interconnessi in termini di contenuto e concepiti in modo intersezionale. Sono nati così spazi misti nel pubblico, in cui hanno trovato posto partecipanti sia ebrei sia musulmani. Esperienze di questo tipo sono essenziali per contrastare la polarizzazione. Dopo il Festival, molti partecipanti hanno riferito di essersi raramente sentiti così al sicuro negli spazi e che la loro prospettiva e la loro identità sono state viste e ascoltate. Chi non è attivo in comunità intersezionali di questo tipo corre un rischio maggiore di scivolare nel pensiero particolarista.

Alleanze tra ebrei e musulmani come superficie di proiezione

Dopo il 7 ottobre 2023, l’opinione pubblica e soprattutto i media hanno intensificato gli appelli ad alleanze visibili tra persone ebree e musulmane e alla pace interreligiosa. Sono quindi state riposte grandi aspettative nel dibattito pubblico ed esercitate pressioni in favore del dialogo interreligioso – aspettative, tuttavia, in contrasto con le risorse disponibili. Nell’estate del 2023, la Germania ha tagliato i fondi pubblici per l’attività di formazione in questo senso e anche in Svizzera i finanziamenti pubblici sono scarsi. Non basta fornire sostegno quando il bisogno è già acuto: il lavoro in seno alle comunità richiede tempo e non dovrebbe essere promosso o richiesto soltanto nelle situazioni di crisi. Per queste ragioni, dal 7 ottobre 2023 cercare alleanze «visibili» è diventata un’impresa, anche in Svizzera. Spesso e volentieri si è puntato il dito contro progetti interrotti o falliti. La pressione esercitata da tutte queste aspettative ha costretto le alleanze, non di rado ancora giovani e fragili, a ritirarsi dallo spazio pubblico per consentire alle proprie radici di irrobustirsi e non soccombere alla pressione esterna a prendere posizione.

Quanto è stato proiettato negli ultimi mesi sulle questioni ebraico-musulmane altro non è che lo specchio della polarizzazione della società e della generale mancanza di competenza in materia di dialogo e pluralità, ossia di quella capacità di accettare le ambiguità, accogliere le simultaneità e non misconoscere le esperienze e i punti di vista altrui. Questa capacità non dovrebbe essere prerogativa soltanto delle comunità direttamente colpite dal conflitto in Medio Oriente: anche, e soprattutto, chi non è coinvolto in prima persona dovrebbe dare prova di responsabilità e sostenere la coesione sociale in Svizzera, invece di partecipare a dibattiti sovente già infuocati. Spesso si dimentica infatti che questa fortissima polarizzazione non nasce il 7 ottobre 2023, ma è già da tempo sintomo di una società non abbastanza resiliente nei confronti delle crisi, che non accetta a sufficienza l’ambiguità e si mostra poco sensibile di fronte a narrazioni che fanno delle minoranze un problema e l’oggetto di un sospetto generalizzato. In sostanza di una società che ragiona secondo lo schema divisivo «noi vs. loro».