Sintesi dell'articolo
«Nulltoleranz für Judenfeinde. Weshalb Antisemitismus im antifaschistischen Biel kein Gehör fand» (tedesco)
Autore
La storica Annette Brunschwig è l’autrice di «Heimat Biel – Geschichte der Juden in einer Schweizer Stadt vom Spätmittelalter bis 1945».
annette@brunschwig.net
Dalla metà del XIX secolo, Bienne ha sempre accolto gli Ebrei a braccia aperte. E negli anni bui del nazionalsocialismo il Municipio rosso ha opposto un’accanita resistenza al dilagare dell’antisemitismo. Un esempio virtuoso di come il comportamento solidale delle autorità possa avere un'influenza positiva sulla popolazione.
Dalla metà del XIX secolo cominciarono a giungere a Bienne molti Ebrei, dapprima dall’Alsazia, dall’inizio del XX secolo anche dalla Russia, dove infuriavano i pogrom. Fino ad allora, tuttavia, ne erano stati naturalizzati pochi. Le cose cambiarono nel 1916, quando venne inaugurata una politica delle naturalizzazioni relativamente vantaggiosa rispetto a quella praticata nei Comuni solettesi limitrofi. Tra le due guerre, nella sola Città di Bienne furono naturalizzati più Ebrei che in tutto il Cantone di Soletta.
Nel 1921 il Partito socialista conquistò la maggioranza in Municipio e nel Consiglio comunale. Cominciò così l’epoca della «Bienne rossa» del sindaco Guido Müller, che tra il 1925 e il 1943 sedette anche in Consiglio nazionale. Antifascista convinto, a Berna combatté strenuamente contro l’introduzione da parte del Consiglio federale del timbro «J» sul passaporto degli Ebrei. Nella sua città, Müller non tollerava alcuna forma di antisemitismo, diversamente da quanto accadeva, per esempio, nella vicina Soletta, le cui autorità erano prevalentemente ostili agli Ebrei. A Bienne, i manifesti nazisti venivano subito rimossi e nel 1942 Müller indisse una conferenza per raccogliere fondi per i profughi. Un comitato raccolse donazioni in natura e vestiti per i rifugiati, che pativano il freddo nel centro di accoglienza gestito dall’esercito a Büren an der Aare, a pochi chilometri da Bienne.