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Intervista a cura di Samuel Jordan
Dal 2008 al 2012, Françoise Tulkens è stata giudice e vicepresidente della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Durante il suo mandato ha tra l’altro messo in luce la problematica sempre più diffusa dei discorsi d’odio. Ma che cosa sono i discorsi d’odio? Oltrepassano la libertà di espressione? Il diritto permette di combatterli? Quali sono le responsabilità dei poteri pubblici in questo ambito? Intervista alla magistrata belga su un fenomeno in forte crescita, complice l’onnipresenza di Internet.
Françoise Tulkens, che cos’è un discorso d’odio?
Un discorso d’odio rappresenta un rifiuto viscerale dell’altro e un’intolleranza di fondo nei confronti del diverso, delle minoranze e dei più vulnerabili. Indipendentemente da dove viene espresso, ha sempre lo stesso denominatore: attacca intenzionalmente una persona o un gruppo di persone a causa dell’appartenenza etnica, del genere, di una disabilità, dell’orientamento sessuale, della religione, delle convinzioni politiche ecc. Chi lo utilizza vuole rafforzare la propria identità e la propria posizione contrapponendole a quelle degli altri. Il discorso d’odio è pernicioso, simile alla tortura cinese dell’acqua: distilla veleno goccia a goccia fino a diventare un concentrato d’odio che esplode in tutti i sensi. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, è bene precisarlo, non contiene una definizione del discorso d’odio e, vista l’urgenza della situazione, è forse ora di porvi rimedio.
Oggi chi sono i bersagli dei discorsi d’odio?
Senza alcuna pretesa di esaustività, direi le donne, gli stranieri, i rifugiati, gli ebrei, i rom, i musulmani, le persone LGBT e gli omosessuali. L’elenco si allunga man mano che la società si complica e si diversifica. Chi finirà nel mirino tra dieci anni? Nel 2019, per coloro che non condividono la posizione governativa dominante nel Paese, ad andare per la maggiore sono e l’istigazione all’odio contro l’islam e la fomentazione dell’odio nazionalista.
Al riguardo, che cosa ne pensa dei tweet razzisti postati (n.d.r.: nel luglio del 2019) da Donald Trump contro alcune deputate del Partito democratico con retroterra migratorio?
Quei tweet sono inauditi e vergognosi. Attaccano diversi bersagli in un colpo solo: le donne, la religione e la cittadinanza. Istigano all’odio razziale e nazionalista. A mio parere, tenuto conto della funzione presidenziale dell’autore, possono essere classificati nella categoria dei discorsi d’odio. Bisogna tuttavia ricordare che gli Stati Uniti professano una libertà di espressione pressoché assoluta. In Europa, questi tweet sarebbero indubbiamente trattati in modo diverso.
I discorsi d’odio sono pericolosi per la democrazia?
Assolutamente sì. Perché disprezzano la diversità e l’alterità. Democrazia significa accettare che ognuno abbia una propria opinione e che possa esprimerla. La libertà di espressione favorisce il dibattito, mentre i discorsi d’odio lo restringono e lo soffocano.
I discorsi d’odio hanno un colore politico?
Che siano di matrice nazionalista o xenofoba, i discorsi d’odio sono utilizzati e apprezzati soprattutto dai partiti populisti che se ne servono per allargare la loro base elettorale. In questi casi, a volte sono accompagnati da teorie complottiste. Questo strumento che altera il sistema democratico facendo leva sulla paura dell’altro è a mio parere troppo pericoloso per essere incluso nel discorso politico. In generale, i discorsi d’odio sono particolarmente nefasti se provengono da politici o personalità pubbliche. Le loro responsabilità, infatti, sono maggiori vista l’audience di cui dispongono e la facilità con cui diffondono un discorso discriminatorio.
I poteri pubblici dovrebbero intervenire e legiferare contro i discorsi d’odio?
Nei Paesi europei i discorsi d’odio sono diventati un grosso problema sociale e politico. Oggi più che mai gli Stati devono assumersi le proprie responsabilità e intervenire con fermezza dando un senso alla cultura comune e alla democrazia pluralista. I discorsi d’odio non devono essere trattati isolatamente, ma accompagnati da un’ampia critica al razzismo, alla xenofobia e all’omofobia nella società. Solo cercando le radici profonde del male possiamo prevenirlo. L’Unione europea ha un ruolo importante da svolgere anche in questo senso.
L’odio è un sentimento. Si può davvero lottare contro un sentimento?
In che cosa consiste esattamente l’odio? Come distinguerlo dall’insulto? Dobbiamo vietare un sentimento? È per rispondere a questi interrogativi che il diritto deve essere costantemente esaminato e rivisto in complementarietà con le scienze sociali come la filosofia, la storia o l’antropologia.
Si può affermare che nella nostra epoca stiamo assistendo a una banalizzazione dei discorsi d’odio?
Sì, senza ombra di dubbio. Alcuni ritengono che i discorsi d’odio siano esacerbati dalle crisi economiche e dalla povertà. A mio modo di vedere, la causa principale di questa recrudescenza è piuttosto il ripiegamento identitario che si osserva nel mondo. E il suo vettore, Internet, è diventato uno pericoloso acceleratore. Internet consente la diffusione e l’accesso illimitato a discorsi che spesso innescano un effetto a catena, con parole che diventano sempre più volgari e violente man mano che si diffondono. D’altronde, il senso di impunità legato al relativo anonimato degli internauti offre una libertà senza responsabilità e permette la liberazione del verbo razzista, xenofobo, antisemita, omofobo, sessista… Ciò può avere un effetto devastante sui giovani alla ricerca della propria identità.
I discorsi d’odio sono sempre esistiti?
Certamente. Ma se ne discuteva meno rispetto a oggi. I discorsi d’odio sono stati il punto di partenza di tutti i genocidi avvenuti nel mondo.
In ultima analisi, i discorsi d’odio non sono forse una forma estrema di libertà di espressione?
Sono una convinta sostenitrice della libertà di espressione come fondamento delle nostre democrazie. Oggi questa libertà è messa alla prova e occorre metterla in salvo. In questo senso – la Corte europea dei diritti dell’uomo non si stanca mai di ripeterlo – dobbiamo accettare i discorsi che offendono, scioccano e disturbano se non vogliamo aprire la porta a regimi dittatoriali e totalitari. La libertà di espressione è quella che permette tutte le altre, ma non è un diritto assoluto. Possiamo porle limiti precisi e ben definiti per preservare la coesione sociale. Quando un discorso d’odio consiste in parole orientate all’azione e istiga direttamente alla violenza, all’omicidio o alla rappresaglia non si può più parlare di libertà di espressione.
Il diritto permette di contrastare i discorsi d’odio?
I discorsi d’odio devono essere combattuti attraverso il diritto, è evidente. Spetta a quest’ultimo definire un quadro e mettere dei paletti alla libertà di espressione e interpretare ogni singolo caso tenendo presente il criterio del pericolo chiaro e imminente. Ma il compito di combattere i discorsi d’odio non spetta solo al diritto, ma a tutti noi, parlamentari, giornalisti, politici, avvocati, docenti, accademici e semplici cittadini. Anziché fare nuove leggi per completare l’arsenale giuridico a disposizione – che, per quanto riguarda il Belgio, a mio parere è sufficiente – occorre combattere i discorsi d’odio attraverso il dibattito politico e la discussione. Creare nuove leggi per mettersi in pace la coscienza senza poterle realmente attuare non è una soluzione opportuna.
Se il diritto non è la pozione magica, come dobbiamo intervenire?
Anziché irrigidire il sistema giuridico e introdurre divieti, è meglio argomentare e disapprovare. Vietare è una soluzione che mi convince sempre meno. È preferibile agire a due livelli: a livello educativo e a livello culturale. Una delle sfide consiste nel migliorare la conoscenza della diversità sin dall’infanzia per costruire una cultura della solidarietà. La diversità non è una minaccia, ma una ricchezza. Siamo tutti diversi ma tutti uguali. Non è con le leggi che riusciremo a convincere della giustezza di queste asserzioni. Internet potrebbe rivelarsi uno strumento formidabile anche per lottare contro i discorsi d’odio.
In base alla Sua esperienza sul terreno, quale ruolo ha svolto e svolge la Corte europea dei diritti dell’uomo in questo ambito?
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha svolto un importante ruolo di precursore prendendo molto sul serio la questione dei discorsi d’odio. Lo dimostra l’articolo 17 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che vieta di esercitare la libertà di espressione per distruggere i valori sanciti dalla Convenzione stessa. D’altronde, a norma dell’articolo 10 della Convenzione, che garantisce il diritto alla libertà di espressione, i giudici di Strasburgo hanno trattato numerosi casi di discorsi d’odio. E oggi le loro sentenze fanno giurisprudenza.
Che cosa rischia un autore di discorsi d’odio secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo?
La Corte europea dei diritti dell’uomo non è un tribunale penale. Non sanziona le persone ma gli Stati. Le cause sono sempre tra un individuo contro uno Stato. Nell’emettere le sue sentenze, la Corte si porrà sempre questo interrogativo centrale: lo Stato sotto accusa ha violato una delle disposizioni della Convenzione? Se sì, gli chiederà di adottare le misure necessarie e persino di modificare la sua legislazione.