Autor
Damir Skenderovic è professore di storia contemporanea all’Università di Friburgo.
damir.skenderovic@unifr.ch.
Prima della votazione sulla norma penale contro la discriminazione razziale, svoltasi nel 1994, i suoi oppositori incentrarono la loro campagna sulla questione della libertà di espressione, gettando così le basi per un’alleanza eterogenea e molto attiva tra le forze più marcatamente di destra. La loro affermazione che si trattasse di una «legge museruola» ebbe una notevole risonanza al momento della chiamata alle urne: il 68 per cento di coloro che avevano votato NO dichiararono all’epoca che la nuova norma penale non avrebbe più garantito la libertà di espressione e che, assumendo posizioni critiche, vi era il pericolo di essere incriminati per razzismo.
Alla fine degli anni 1980, in Svizzera l’estremismo di destra conobbe un’importante avanzata, suscitando l’attenzione dell’opinione pubblica con dimostrazioni razziste e atti violenti. Di fronte a questa situazione, si moltiplicarono le iniziative politiche tese a combattere fermamente l’estremismo di destra e il razzismo, tra l’altro mediante l’adesione della Svizzera, a lungo rinviata, alla Convenzione ONU sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale e con l’introduzione di una normativa in materia. In fase di consultazione, il Consiglio federale sottolineò che le nuove misure legislative avrebbero tenuto in debita considerazione il diritto fondamentale alla libertà di espressione. La grande maggioranza del Parlamento fu concorde nel ritenere che tale libertà trovasse il suo limite quando sfociava in affermazioni razziste e costituiva quindi una violazione dei diritti fondamentali di terzi. Per gli avversari della norma penale contro la discriminazione razziale, l’elemento cruciale della nuova disposizione era invece l’abolizione della «libertà di pensiero e di parola».
L’estrema destra si mobilitò presto contro la nuova norma penale contro la discriminazione razziale, temendo una crescente repressione dello Stato nei confronti della sua propaganda e delle sue attività. Nell’autunno del 1988, la federazione di estrema destra «Nationale Koordination» organizzò un’assemblea durante la quale vennero discusse le strategie e alleanze in vista di una campagna contro la nuova disposizione, nella speranza di riuscire in particolare a convincere i piccoli partiti populisti di destra della necessità di lanciare un referendum.
A guidare la resistenza dell’estrema destra fu Gaston-Armand Amaudruz, che coniò l’espressione «legge museruola» e che, per la sorpresa di molti, con la sua rivista «Le Courrier du Continent» venne invitato a partecipare alla procedura di consultazione. Amaudruz era una figura centrale dell’estrema destra europea del secondo dopoguerra e godeva di grande prestigio tra le nuove generazioni dell’estrema destra svizzera, che lo consideravano un’«eminenza grigia». Anche i negazionisti svizzeri, che disponevano di un’ampia rete di contatti internazionali, si impegnarono da subito contro la norma penale antirazzista inviando scritti provocatori a giornalisti e politici, in cui la difesa della libertà di espressione serviva da paravento ai tentativi di negare e minimizzare i crimini nazisti e in particolare la Shoah.
Nella procedura di consultazione aperta alla fine del 1989, la maggior parte dei Cantoni, partiti e gruppi di interesse si dichiarò favorevole all’adesione alla Convenzione ONU e all’introduzione della norma penale contro la discriminazione razziale. Tali proposte furono invece categoricamente respinte dall’Azione nazionale (AN), secondo la quale la normativa antirazzista violava «l’idea di fondo del liberalismo». Dopo la sconfitta del comunismo, così affermò l’AN nella sua presa di posizione, essa avrebbe portato all’affermazione di un «nuovo totalitarismo». Se la «legge museruola» fosse stata accettata, secondo l’AN la «libertà di esprimere la propria opinione» sarebbe venuta meno, dato che «certe posizioni sarebbero diventate punibili».
Anche nel dibattito in Consiglio nazionale, svoltosi nel dicembre del 1992, i Democratici svizzeri, come si era nel frattempo ribattezzata l’AN, si opposero insieme alla Lega dei Ticinesi e al Partito degli automobilisti, per la prima volta rappresentato in Consiglio nazionale, alla Convenzione e alla nuova norma penale, ponendo vigorosamente l’accento sulla restrizione della libertà di espressione su temi quali la migrazione e l’asilo. Jürg Scherrer, consigliere nazionale del Partito degli automobilisti, avvertì ad esempio che agli svizzeri «stava per essere messa una museruola», visto che «in futuro le espressioni di malumore contro gli abusi nel settore dell’asilo sarebbero state punibili». Sempre secondo Scherrer, erano soprattutto «gli ambienti di sinistra a voler tacitare i critici della fallimentare politica d’asilo».
Malgrado le veementi critiche, i piccoli partiti della destra populista non erano disposti a lanciare un referendum. Pertanto si formarono diversi comitati extraparlamentari che assunsero la guida della raccolta di firme e della campagna in vista della votazione. Particolarmente attivo e dotato di una vasta rete di contatti era il comitato «Aktion für freie Meinungsäusserung – gegen UNO-Bevormundung» (Iniziativa per la libertà di espressione – contro le imposizioni dell’ONU) fondato nell’estate del 1993 dal cospirazionista Emil Rahm. Nel bollettino «Freie Meinungsäusserung», i fautori della norma penale contro la discriminazione razziale venivano accusati di condurre «un vero e proprio terrorismo d’opinione», essendo di fatto evidente che la Svizzera non aveva bisogno di una «legge museruola». Walter Fischbacher, presidente del comitato fino al marzo del 1994, si spinse ancora oltre, definendo la normativa antirazzista «figlia di un’ideologia della commistione tra i popoli foriera di catastrofi» e di un’«illusione monorazziale» promossa dalle cerchie progressiste. Membro del PLR, Fischbacher abbandonò il partito nel gennaio del 1995 in seguito a pressioni interne e dell’opinione pubblica.
Per alcuni oppositori della norma penale contro la discriminazione razziale, la retorica e i membri del suddetto comitato erano troppo radicali. Nel settembre del 1993 fondarono quindi il «Komitee für Freiheit im Reden und Denken» (Comitato per la libertà di parola e pensiero), il cui presidente Herbert Meier, editore della rivista «Abendland» fondata nel 1964, figurava tra i primi esponenti della nuova destra intellettuale in Svizzera. Oltre a rappresentanti di associazioni della destra borghese e della nuova destra, a questo nuovo comitato aderirono anche otto consiglieri nazionali. Secondo il comitato, la norma antirazzista era un esempio di come la sinistra cercasse di affermare la propria egemonia a livello linguistico e ideologico. Espressioni come «xenofobo» e «razzista» costituivano strumenti per una «vera e propria caccia alle streghe», finalizzata a «isolare moralmente, perseguitare e zittire» le posizioni borghesi o conservatrici e i loro rappresentanti, così affermava il volantino «Norma antirazzista – stronchiamola sul nascere! Contro il controllo e il sanzionamento delle opinioni». Avanzò tesi simili anche il Komitee für eine liberale Gesetzgebung (Comitato per una legislazione liberale), fondato nel giugno 1994 e compostosoprattutto da membri delle sezioni giovanili dell’UDC, del PLR e del PPD. Il futuro consigliere nazionale UDC Gregor A. Rutz, all’epoca esponente dei giovani liberali e cofondatore del comitato, durante l’assemblea dell’UDC zurighese all’Albisgüetli ammonì i presenti a non farsi mettere «una museruola dalla sinistra», perché «dobbiamo esprimere la nostra opinione in maniera aperta e sincera!».
La campagna condotta all’inizio degli anni 1990 contro la norma penale contro la discriminazione razziale costituisce a oggi il più importante episodio di mobilitazione delle forze più marcatamente di destra in Svizzera. Evocando uno scenario di pericolo per la libertà di espressione, gli oppositori riuscirono a creare un’alleanza tra i partiti della destra populista, la nuova destra e l’estrema destra. L’espressione «legge museruola» coniata dall’estrema destra servì da incisiva chiave di lettura e il «diritto alla libertà di parola» da strategia discorsiva per mascherare istanze e argomentazioni che spaziavano dalla politica migratoria e d’asilo alle fantasie complottistiche fino al negazionismo. In linea di principio, questo fronte attribuì maggiore peso alla libertà di espressione rispetto al diritto fondamentale delle persone di non essere discriminate e all’intangibilità della dignità umana. Malgrado fossero degli outsider a livello politico, gli attori coinvolti sfruttarono le possibilità offerte dalla democrazia diretta riuscendo, durante la campagna referendaria e in vista della votazione, a far conoscere le loro posizioni al grande pubblico, andando così ben al di là della ristretta cerchia di membri e sostenitori.
La campagna contro la norma penale rappresentò un segnale. Venne elaborata una strategia discorsiva che negli anni seguenti caratterizzò il dibattito sul cosiddetto politicamente corretto. Come in altri Paesi dell’Europa occidentale, anche in Svizzera il significato di questa espressione, nata negli Stati Uniti in un contesto emancipatorio, mutò sostanzialmente divenendo un’accusa. Come nel caso delle critiche alla norma penale antirazzista, il diritto alla libertà di espressione su temi quali la migrazione, il razzismo, il genere e i diritti umani fu infatti strumentalizzato per denunciare una presunta egemonia culturale della sinistra, che si traduceva in un divieto eteroimposto di pensare e parlare liberamente, e per cercare di legittimare posizioni volte a emarginare e discriminare determinati gruppi.
Bibliografia:
Eidgenössisches Komitee «Ja zum Antirassismus-Gesetz» (ed..): Pressedokumentation. Gegner des Antirassismusgesetzes I und II, Zürich 1994.
Niggli, Peter; Frischknecht Jürg: Rechte Seilschaften. Wie die «unheimlichen Patrioten» den Zusammenbruch des Kommunismus meisterten, Zürich 1998.
Schloeth, Daniel: Analyse der eidgenössischen Abstimmungen vom 25. September 1994, VOX Nr. 54, Adliswil, Bern 1994.
Skenderovic, Damir: The Radical Right in Switzerland. Continuity and Change, 1945-2000, New York, Oxford 2009.