TANGRAM 43

Un terreno scivoloso. Confusione carnevalesca tra dibattito sul razzismo e libertà di espressione

Sintesi dell'articolo
«Ein seifiges Terrain. Komplizierte Gemengelage zwischen Fasnacht, Rassismusdebatte und Meinungsfreiheit» (tedesco)

Autor

Daniel Faulhaber è giornalista freelance.
daniel.faulhaber@gmx.ch

Durante la scorsa edizione del carnevale di Basilea è sorta una polemica su una critica di razzismo diretta contro la guggen «Negro Rhygass» a causa del suo logo caricaturale al centro del quale vi era la figura di un «moro» con i consueti attributi (labbroni, grandi piedi, gonnellino di paglia e un osso nei capelli). Lo stemma fa riferimento a un evento del suo periodo di fondazione: l’atterraggio d’emergenza del pioniere dell’aviazione svizzero Walter Mittelholzer in Africa. Dopo aver preso le distanze da qualsiasi forma di razzismo, in un’assemblea generale la guggen ha deciso di non utilizzare più il logo in pubblico. Ma nel frattempo il dibattito si era allargato al punto da provocare, come reazione, una marcia di solidarietà per mantenere la caricatura e difendere la libertà di opinione, cui hanno aderito circa 800 persone. Anche i partecipanti al carnevale hanno reagito con veemenza: al corteo si sono infatti viste lanterne con le labbra cucite, persone che ballavano in costume da scimmia o vestite da «benpensanti». In sostanza, il popolo del carnevale ha reagito con la chiara volontà di non capire, buttando sul ridicolo le critiche di razzismo o contrattaccando.

Dal punto di vista della ricerca postcoloniale, le reazioni possono essere ricondotte a due modelli: il White Privilege (privilegio bianco) e il White Fragility (fragilità bianca). Il primo si riferisce alla comodità di non doversi preoccupare di esperienze di discriminazione in virtù del fatto di essere bianchi e, quindi, di non dover pensare alle reali conseguenze di barzellette e prese in giro sul colore della pelle.

Il White Privilege è «normale» nelle società occidentali e quindi per lo più invisibile; a volte però può balenare all’improvviso, come nella reazione della società carnascialesca, che, dietro le critiche di razzismo, ha fiutato l’odore di un divieto assoluto di parlare. In questo contesto si dimentica tuttavia che il discorso razzista si incolla alle persone che ne sono vittima e veicola un’esperienza storica di discriminazione molto specifica che non viene superata, ma continua ad agire nella vita quotidiana.

Il White Fragility è invece il riflesso che spinge a reagire con un atteggiamento di difesa e rabbia alla critica della comodità delle posizioni bianche. Il privilegio bianco e la fragilità bianca sono modelli comuni di reazione al dibattito sul razzismo. Questo dimostra che, quando viene scossa anche solo leggermente nella sua natura, la cosiddetta società maggioritaria produce risentimento, adegua il linguaggio razzista e pratica un’esclusione ampiamente accettata – perfino in una città svizzera a predominanza rosso-verde come Basilea. Questo dimostra quanto questa società non sia più sovrana, ma sia invece diventata gretta e piena di paure.

I due modelli di reazione mostrano inoltre quali strutture razziste stanno alla base della normalità, una normalità definita anche come cultura (pre)dominante. Una cultura che veicola un consenso tacito su ciò che «si potrà ancora dire», perché «dopo tutto si è sempre fatto così». Questo consenso è comodo, arrogante e codardo. Alcuni lo chiamano tradizione, dove il lato B è la sua funzione di esclusione. Ma il razzismo non è una tradizione, vanta una tradizione.