TANGRAM 35

«Occorrono modelli positivi da sostituire
a quelli tradizionali»

Intervista di Veronica Galster a Paolo Bernasconi

Veronica Galster, licenziata in scienze politiche, è giornalista.
veronica.galster@areaonline.ch

Paolo Bernasconi, ex procuratore in Ticino, è molto impegnato politicamente e negli ultimi anni si è battuto in prima linea nella lotta al razzismo e alla xenofobia, oltre che contro il degrado del dibattito politico in Ticino, principalmente innescato dal domenicale della Lega dei Ticinesi. Di seguito ci rivela le sue preoccupazioni in merito al razzismo e alla xenofobia in Svizzera, e spiega come secondo lui sia importante puntare sui giovani e sulla loro educazione per arginare il problema.

Signor Bernasconi, i recenti risultati di uno studio commissionato dal Servizio per la lotta al razzismo hanno rilevato forti pregiudizi verso gli stranieri in Svizzera, soprattutto verso i musulmani, che spesso sfociano in xenofobia e razzismo. A suo modo di vedere qual è il livello di razzismo in Svizzera in generale e in Ticino in particolare?

La paura dell’altro caratterizza ogni essere vivente. È diffusa anche fra gli esseri umani, in ogni cultura. A differenza degli altri esseri viventi, l’essere umano è progredito e, nei millenni, in tutte le culture, ha saputo sostituire la paura con quegli atteggiamenti che caratterizzano l’essere umano, anzitutto la solidarietà.

La solidarietà rappresenta il principale indicatore del livello di progresso umano. Tutte le religioni la praticano, tutte le Costituzioni, in forme diverse, la proteggono e la promuovono, salvo nelle dittature. Purtroppo, nel cammino delle civiltà, mai nulla è acquisito. Nella nostra cultura occidentale, di radice cristiana, domina il comandamento «ero straniero, mi avete ospitato». Dall’altra parte, risuona l’urlo di paura, e di egoismo: «la barca è piena». Questo slogan politico ferisce la tradizione cristiana occidentale e ferisce la tradizione svizzera, violando il preambolo della Costituzione federale del nostro Paese che, testualmente, promuove lo «spirito di solidarietà e di apertura al mondo». La paura, che è soltanto un istinto, sbriciolando le colonne della Svizzera, acceca le persone. L’eguaglianza di tutti gli esseri umani, scolpita così faticosamente nelle Convenzioni internazionali e nelle Costituzioni, viene corrosa, giorno per giorno, dalla paura nei confronti dell’altro, del diverso. Gli accecati suddividono le persone fra bianchi, neri, gialli, colore della pelle, costumi e lingue diverse invece di suddividerli fra persone solidali e persone egoiste. Se non fosse drammatico nelle sue conseguenze, l’accanimento contro i minareti e il burqa, ossia presenze assolutamente isolate e innocue nel territorio svizzero, farebbe soltanto ridere.

Il razzismo in Svizzera, secondo lei, è aumentato o ha semplicemente cambiato «bersaglio»?

La mancanza di rispetto verso il principio dell’uguaglianza fra tutti gli esseri umani, principio cristiano e principio così profondamente svizzero, in questi anni conduce addirittura a promuovere categorie diverse di svizzeri, ancora una volta violando la Costituzione federale: si pretende di distinguere fra i diritti degli svizzeri da più generazioni rispetto agli svizzeri che hanno ottenuto la cittadinanza soltanto da una generazione.

A questo proposito, si sta discutendo a livello federale sulla possibilità o meno di espellere anche i criminali naturalizzati, non solamente quelli stranieri. Cosa ne pensa?

I partiti politici promotori della paura e dell’odio stanno addirittura sabotando il principio di uguaglianza previsto dalla Costituzione federale, secondo cui non si discrimina fra svizzeri: la Costituzione non prevede categorie di svizzeri, ma solo il principio d’uguaglianza, il resto è sfregio della nostra Costituzione, che è la base della Svizzera.

Semmai si può migliorare la verifica di polizia, oggi carente, nella procedura di concessione della cittadinanza. Oggi, infatti, la polizia si limita a chiedere al candidato se ci siano procedimenti pendenti a suo carico, senza nemmeno verificare. Esiste comunque la possibilità di revoca della cittadinanza nel caso in cui questa sia stata ottenuta con una falsa dichiarazione.

Alcuni partiti di destra utilizzano le paure della gente creando un sentimento d’insicurezza per fomentare xenofobia e razzismo e guadagnare voti. Quali sono i rischi di una società che va in questa direzione?

Nella storia di tutti i Paesi, e quindi anche nella storia e nell’attualità politica svizzera, ci sono sempre stati quei personaggi politici che hanno sfruttato la paura della gente e che anzi soffiano sul fuoco della paura, esclusivamente per i loro fini elettorali e di potere. Nascono i capi-popolo, coloro che gridano nelle piazze, sui giornali e sui social media. Insegnando accuratamente la storia a tutta la cittadinanza e nelle scuole, tutti possono capire quali sono i disastri per l’umanità ai quali hanno condotto questi capi-popolo. Anche il terrorismo di etichetta «islamica» viene strumentalizzato per criminalizzare tutto il mondo islamico. Io ho lavorato per vent’anni, come magistrato, contro le infiltrazioni in Svizzera delle Brigate rosse italiane e della Rote Armee Fraktion tedesca, ma all’epoca, nessuno si sognava di criminalizzare tutti gli italiani o tutti i tedeschi.

Sull’onda di queste paure vengono ad esempio rimessi in discussione dei principi acquisiti oltre che il diritto internazionale: quali sono le conseguenze a medio e lungo termine di questo smantellamento, anche sul piano dei rapporti con gli altri Stati?

I caporioni politici che urlano sulle piazze e sui giornali e che soffiano sul fuoco della paura irrazionale, stanno portando la Svizzera all’isolamento nella comunità internazionale. Pagheremo molto caro, anche in termini di benessere e in termini di qualità della vita. Il nostro Paese, anche all’estero, non viene più vissuto grazie al rispetto dovuto alla stabilità delle nostre istituzioni: purtroppo anche all’estero hanno dovuto constatare che la prevedibilità e la certezza del diritto, così caratteristiche nella storia svizzera, stanno vacillando sempre più.

Quali strumenti ha lo Stato per combattere o quantomeno arginare questa deriva?

Dunque, lo Stato, ma con lui tutta la cittadinanza, deve giorno per giorno, anzitutto nell’educazione, in famiglia, nello sport, nelle scuole, costantemente insegnare i valori della Costituzione, ossia «la solidarietà e l’apertura verso il mondo». Soprattutto abituare la gioventù e gli adolescenti alla convivenza fondata su questo rispetto, indipendentemente dalle origini e dalle «razze». Anzi, si deve continuamente ricordare che sono state le differenze culturali a fare grande la Svizzera.

La scuola potrebbe fare di più a suo modo di vedere? In che modo?

Per esempio i docenti di storia potrebbero fare qualcosa: oggi si magnificano imprese di condottieri senza spiegare che hanno promosso il genocidio di popoli interi. Si parla di guerre e di battaglie senza mai spiegare quali siano le sofferenze delle popolazioni e delle famiglie. Si deve sempre spiegare la giornata della memoria, il giardino dei giusti, raccontare delle persone che si sono sacrificate per salvare i perseguitati e fornire modelli di dissenso civile, come quelli della «Weisse Rose» contro il nazismo. Modelli positivi da sostituire a quelli tradizionali.

È preoccupato per quanto sta accadendo negli ultimi anni in termini di razzismo e xenofobia in Svizzera?

Per decenni ho lavorato all’interno di organizzazioni umanitarie di portata planetaria. Questi ultimi anni sono assorbito sempre più da questioni locali e molto più elvetiche, proprio perché partiti politici di destra, soffiando sulla paura verso l’altro, stanno sgretolando le migliori tradizioni svizzere. Anch’io ho paura: perché sta prevalendo la spirale dello scontro, invece che la spirale del dialogo, la spirale della violenza, invece che la spirale della tolleranza.

Il peggio si vive oggi in Ticino: il condizionamento ambientale minaccia tutti coloro che impiegano un frontaliere e persino una persona italiana residente in Ticino. Si rinnega la cultura italiana che è parte integrante proprio della nostra storia svizzera. Ci vorrebbe la mobilitazione generale.