TANGRAM 43

Ponderazione degli interessi sul filo del rasoio. Razzismo vs. libertà di espressione

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Titolare di un master in diritto, Vera Leimgruber è stata praticante giurista presso la CFR tra il 2018 e il 2019.
veraelena@gmx.net

Quando nel dibattito pubblico vengono avanzate critiche alla norma penale contro la discriminazione razziale, queste sono spesso giustificate adducendo la libertà di espressione. Gli oppositori parlano addirittura di «norma museruola». Ma che cosa tutela esattamente l’articolo 261bis del Codice penale ed è davvero in contrasto con la libertà di espressione?

Il bene giuridico tutelato dalla norma penale contro la discriminazione razziale è la dignità umana, che occupa il primo posto nella graduatoria dei diritti fondamentali garantiti in Svizzera, rappresenta il principio costitutivo supremo dello Stato ed è l’obiettivo primario dell’ordinamento giuridico. Un ulteriore diritto fondamentale è la libertà di espressione, che è un importante pilastro della democrazia e garantisce che possano essere espressi anche punti di vista invisi alla maggioranza o persino scioccanti. I diritti fondamentali non hanno però valore assoluto, dato che, secondo l’articolo 36 della Costituzione federale, possono essere soggetti a restrizioni; soltanto la loro essenza è intangibile. In linea di principio, in caso di conflitto tra due diritti fondamentali l’autorità giudiziaria procede a una ponderazione degli interessi per stabilire quale dei due abbia la priorità. Sovente si tratta di una valutazione sul filo del rasoio.

Anche quando si tratta di giudicare atti che violano la norma penale contro la discriminazione razziale, le autorità di perseguimento penale e i tribunali spesso procedono a una ponderazione degli interessi tra i beni giuridici tutelati dall’articolo 261bis del Codice penale (CP) e la libertà di espressione, o perlomeno partono dal presupposto che l’articolo vada interpretato tenendo conto della libertà di espressione. Su questa base, sono più volte giunti alla conclusione che soltanto le espressioni e le forme di discriminazione più evidenti, esecrabili e lesive della dignità umana rientrano nella fattispecie della norma penale. In quest’ottica, soprattutto nel dibattito politico occorre attribuire grande importanza alla libertà di espressione e procedere con i piedi di piombo prima di sanzionare una violazione della norma penale contro la discriminazione razziale, dato che in una democrazia deve essere possibile criticare un determinato gruppo della popolazione. La critica può essere espressa anche sopra le righe, purché nel complesso si attenga ai fatti e sia fondata su ragioni obiettive. Come stabilito dal Tribunale federale (DTF 131 IV 23 consid. 3.1), l’importante è che «l’obiettivo della lotta al razzismo non sia svuotato della sua sostanza».

La libertà di espressione nella giurisprudenza inerente alla norma penale contro la discriminazione razziale

Qui di seguito verranno illustrati alcuni casi in cui la libertà di espressione ha giocato un ruolo importante nel processo decisionale.

• Il Tribunale federale ha attribuito un peso particolare al diritto di esprimere liberamente la propria opinione nel dibattito politico in una sua decisione del 2004 (DTF 131 IV 23), con cui ha annullato una condanna per discriminazione razziale e rinviato la causa al tribunale di grado inferiore in quanto la sentenza non aveva attribuito sufficiente importanza alla libertà di espressione. Il caso riguardava un comunicato stampa sul sito Internet di un partito in cui si richiedeva il rimpatrio immediato dei rifugiati kosovari, definiti come persone particolarmente inclini alla violenza e alla criminalità.

• Nel 2015 un tribunale regionale si è espresso su un commento postato su Facebook del seguente tenore: «Sto per vomitare… quando verrà finalmente estirpata questa religione?!?», e su un’immagine, anch’essa postata su Facebook, dal titolo «Massima della giornata: «se nel cranio c’è già Allah, il cervello non ci sta». Per quanto riguarda l’immagine, l’imputato ha invocato la libertà di espressione, affermando che si trattava di una caricatura e quindi di satira. Il tribunale di primo grado ha invece ricordato che la libertà di espressione non vale in senso assoluto e non può giustificare qualsiasi tipo di diffamazione o di discriminazione razziale. Secondo la corte, poiché il testo postato non ha nulla di umoristico, non si può parlare di caricatura o satira tutelata dalla libertà di espressione. In questo caso il tribunale ha tenuto conto della libertà di espressione nelle sue considerazioni, attribuendovi però un’importanza subordinata rispetto ad altri fattori.

• Il Tribunale federale ha relativizzato la libertà di espressione in caso di discriminazione razziale anche nel 2017, confermando la condanna di due politici per un’inserzione intitolata «I Kosovari sgozzano gli Svizzeri». Nella sua sentenza, l’Alta Corte ha ritenuto che si trattasse di una generalizzazione priva di fondamenti oggettivi, tendente ad attribuire una propensione alla criminalità superiore alla media alle persone di origine kosovara e a negare loro il diritto di soggiornare in Svizzera (sentenza 6B_610/2016 consid. 3.3.3). Nel 2016, il Tribunale cantonale di Berna aveva confermato il giudizio di prima istanza, in cui era stato ribadito il ruolo della dignità umana come «principio costitutivo supremo dello Stato» e, di conseguenza, come «obiettivo primario di tutto l’ordinamento giuridico». Considerata l’intangibilità dei diritti fondamentali nella loro essenza, la contrapposizione tra discriminazione razziale e libertà di espressione non può costituire un conflitto tra diritti fondamentali equivalenti, poiché la dignità umana rappresenta il presupposto e l’origine di ogni altro singolo diritto fondamentale. Argomentando in questo modo, il Tribunale cantonale ha fatto proprio il parere del professore di diritto penale Marcel A. Niggli, che nega per principio la possibilità di un tale conflitto. Ciononostante il Tribunale cantonale ha sottolineato che, nell’interpretazione dell’articolo 261bis comma 4 CP, occorre tenere in debita considerazione la libertà di espressione, soprattutto nell’ambito del dibattito politico.

Dunque nessun conflitto tra diritti fondamentali?

Se si ammette che la dignità umana costituisce l’essenza di tutti i diritti fondamentali e che quindi la sua violazione prevale su qualsiasi altra considerazione, non si può procedere a una ponderazione degli interessi tra questa e altri diritti e non è nemmeno possibile un conflitto tra dignità umana e libertà di espressione. Come già ricordato, il bene giuridico tutelato dall’articolo 261bis CP è la dignità umana. Il quarto comma menziona esplicitamente la lesione della dignità umana come elemento oggettivo della fattispecie e dunque come presupposto per la punibilità. Se non vi è lesione della dignità umana, è quindi anche esclusa la perseguibilità in virtù dell’articolo 261bis CP. Allo stesso tempo la libertà di espressione non può mai comportare il diritto a esternazioni razziste ai sensi dell’articolo 261bis CP. In presenza di esternazioni razziste, si dovrebbe quindi semplicemente accertare se vi è o meno una lesione della dignità umana. In assenza di una lesione della dignità umana, la fattispecie non sussiste. È inoltre irrilevante se le dichiarazioni sono avvenute nell’ambito del dibattito politico: la libertà di espressione non tutela in nessun caso esternazioni lesive della dignità umana.

I casi limite sono pochi

Nella maggior parte dei decreti d’accusa e delle sentenze non si procede a una ponderazione degli interessi e a una valutazione se sia stata violata la libertà di espressione, dato che le esternazioni perseguite ledono la dignità umana in maniera estremamente palese. È ad esempio il caso di un video su YouTube in cui si descrive una macchina che può tritare 3000 «negri» al giorno. Le autorità di perseguimento penale competenti hanno giudicato altrettanto inequivocabili i commenti postati su Facebook: «Purtroppo il nostro caro Hitler è riuscito a farvi fuori soltanto in piccola parte! Lo ribadisco – eliminate Israele e ci sarà la pace nel mondo», «Potrei ammazzare tutti gli ebrei, ma ne ho lasciati alcuni in vita per farvi vedere perché l’ho fatto – Adolf Hitler» e «Gasa questi cani!». È con ogni evidenza punibile anche il seguente post, riferito ai richiedenti l’asilo musulmani: «È un peccato che non ci sia qualcuno come Hitler che manda questa gentaglia nelle camere a gas. O magari le camere a gas non sono ancora pronte?».

È stato condannato anche l’autore di un post contenente i seguenti passaggi: «Siete tutti feccia musulmana, tornate nel vostro Paese di merda… Bisognerebbe tagliarvi la testa e cagarci dentro, così almeno avrete qualcosa nel cervello, musulmani di merda… Vi pestiamo a sangue, popolo di trogloditi del cazzo». Protestando contro la costruzione di un centro d’asilo, qualcun d’altro ha scritto che «bisognerebbe sparare ai negri e a gentaglia simile»; un altro ancora ha definito i musulmani e le persone con un cognome che termina in «-ić» come «forme di vita parassitić».

Spesso l’opinione pubblica dimentica che le infrazioni all’articolo 261bis CP consistono perlopiù in esternazioni inequivocabili come queste e non costituiscono quindi dei casi limite. Simili affermazioni non contengono palesemente nulla che sia degno di tutela e non c’entrano niente – a maggior ragione – nemmeno con il dibattito politico.

Sono soprattutto i casi limite, in cui vi è una presunta restrizione della libertà di espressione, ad attirare maggiormente l’attenzione dell’opinione pubblica e a suscitare critiche nei confronti della norma penale contro la discriminazione razziale. Di regola si tratta però di situazioni controverse in cui la lesione della dignità umana non è chiara.

In base al parere qui espresso, in presenza di una lesione della dignità umana una ponderazione degli interessi con la libertà di espressione va in ogni caso esclusa. Tuttavia, la valutazione di un episodio come lesivo della dignità umana o meno dipende anche dalle sensibilità sociali e dalle strutture del potere politico. Il contesto globale ha un ruolo importante. Proprio per questo motivo, in particolare per le esternazioni non inequivocabilmente lesive della dignità umana occorre essere particolarmente meticolosi nell’accertare e motivare la sussistenza di una tale lesione.

Bibliografia:

Niggli, Marcel A, Rassendiskriminierung, 2. Auflage, 2007, Zürich.

Le sentenze menzionate nel testo possono essere consultate sul sito Internet della CFR nella sezione «Raccolta di casi giuridici» sotto i seguenti numeri: 2003-030, 2015-047, 2016-018, 2017-003, 2015-026, 2015-056, 2016-006, 2014-015, 2014-017.
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