Martine Brunschwig Graf è la presidente della Commissione federale contro il razzismo (CFR)
A cosa serve la norma penale contro la discriminazione razziale? A punire quando è necessario. A permettere allo Stato di diritto di definire il limite da non superare. A rendere giustizia a persone o gruppi di persone feriti nella loro dignità a causa del colore della pelle o dell’appartenenza etnica o religiosa. A reprimere i discorsi che istigano pubblicamente all’odio.
La norma contro la discriminazione razziale del Codice penale svizzero – il famoso articolo 261bis – ha ormai 20 anni, ma il dibattito sulla sua fondatezza non si è mai sopito. Probabilmente, anche il nuovo Parlamento dovrà presto discuterne. La sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo sul caso Perinçek (negazione del genocidio degli armeni) offre infatti agli avversari della disposizione un ghiotto pretesto per rimetterla in questione.
Il presente editoriale non intende commentare la sentenza, che merita di essere analizzata a fondo per capire le ragioni che hanno indotto la Corte europea a pronunciarla, per altro con una non larga maggioranza di 10 a 7. Tuttavia, possiamo sottolineare già oggi che la decisione di Strasburgo non rimette necessariamente in questione la norma penale svizzera. Al contrario, non si può non rilevare che i giudici hanno riconosciuto la necessità di punire l’istigazione all’odio. Semplicemente, non ne hanno ravvisato gli estremi nelle dichiarazioni e negli scritti di Perinçek.
Che la Corte europea contraddica una decisione del Tribunale federale, cioè la sua interpretazione di un articolo del Codice penale, non intacca minimamente la validità della disposizione. La maggior parte degli articoli del Codice penale sono soggetti a interpretazioni. Ma è proprio questo che fa del sistema giudiziario un’istituzione umana e non l’acritico servo di un pensiero meccanico.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di una diga contro le parole e gli atti che ledono la dignità umana. Di un giusto contrappeso alla libertà di pensiero e d’espressione, quasi sempre privilegiata dai giudici rispetto ad altri diritti. La libertà è un valore fondamentale della nostra società democratica. Ma non l’unico. Ci sono anche il rispetto e la responsabilità.
Chi, scientemente, lede in pubblico la dignità di una persona, negandole il rispetto dovuto ad ogni essere umano, merita di essere punito. La norma penale contro la discriminazione razziale è lo strumento che permette di punire chi lede l’altrui dignità umana in ragione del colore della pelle, dell’appartenenza etnica o della religione. E di sanzionare chi fomenta o mantiene vivo l’odio con dichiarazioni, scritti o atti pubblici. Chi fa questo deve assumersi la responsabilità delle proprie azioni.
In Svizzera, il diritto è concepito in maniera che ciascuno possa esercitare senza alcuna censura preventiva la propria libertà d’espressione. Questo significa che a priori ognuno può dire o scrivere quello che gli pare. E così, per esempio, è capitato di leggere sui media sociali appelli a «fucilare i negri», a ripetere la «notte dei cristalli» con i musulmani, a «finire il lavoro cominciato da Hitler» con gli ebrei ecc. Chi mai può adombrarsi se le persone che scrivono simili frasi vengono punite? Abrogare la norma penale significherebbe sdoganare a posteriori queste esortazioni e incoraggiarne di nuove.
Sarebbe ora di discutere dei veri problemi.