TANGRAM 46

«Senza antirazzismo non c’è società giusta»

Itziar Marañón è stata fino al maggio del 2022 responsabile di progetto e responsabile sostituta del Servizio della Città di Berna per le questioni di migrazione e razzismo. fmr@bern.ch

Intervista a cura di Theodora Peter

Dal 2021, la Settimana contro il razzismo della Città di Berna è incentrata sul razzismo strutturale, quest’anno con lo slogan «Il razzismo chiude le porte. Apriamole.». Nell’intervista che segue, la responsabile di progetto Itziar Marañón traccia un bilancio.

La Città di Berna ha scelto di dedicare le edizioni 2021-2023 della sua Settimana contro il razzismo alla manifestazione strutturale di questo fenomeno. Perché?
Dopo oltre dieci anni, i tempi erano maturi. Quando un’istituzione o un gruppo decide di affrontare il tema del razzismo, inizia con l’esaminarne le forme nella quotidianità: è più facile. Con il passare del tempo ha visto la luce un numero sempre maggiore di progetti scaturiti da riflessioni approfondite, volti a scandagliare la questione. Anche in seno alla pubblica amministrazione è importante che il tema sia oggetto di dibattito sul piano strutturale e che si lotti contro il razzismo istituzionale.

Come si attua concretamente un tema astratto?
Abbiamo scelto di concentrarci sugli effetti, ossia sulle conseguenze concrete per le persone. Con lo slogan «Il razzismo chiude le porte» («Rassismus schliesst Türen») volevamo evidenziare che è una questione di pari opportunità – un principio importante della democrazia che, con il razzismo strutturale, viene meno. Non volevamo però lanciare un messaggio scoraggiante e quindi abbiamo aggiunto «Apriamole» («Öffnen wir sie»). Se rendiamo visibili e riconoscibili i meccanismi di esclusione del razzismo strutturale, possiamo cercare soluzioni e aprire le porte chiuse. Nel quadro dell’invito a presentare progetti per la Settimana abbiamo fornito esempi e sostegno, anche sotto forma di consulenza, a chi presentava richieste. È un processo impegnativo, ma ne vale la pena.

Può farci alcuni esempi delle numerose attività?
Vorrei evidenziare il ruolo sempre più importante svolto dalle vittime del razzismo negli ultimi anni, sia durante la preparazione sia durante lo svolgimento della Settimana. Sovente, la preparazione stessa è già un processo di empowerment, il che conferisce agli eventi enorme forza e credibilità. Oltre alla Settimana contro il razzismo, a Berna sono stati realizzati molti progetti validi, e ve ne sono tuttora in corso, come il workshop sulle pari opportunità sul mercato del lavoro o il «Café révolution», un luogo d’incontro ideato da femministe nere. Il progetto «Living Room» è invece uno spazio fortemente dedicato all’arte e al razzismo, nonché all’eredità coloniale, dove ad esempio si riflette su come i musei possano adottare un approccio critico nei confronti del razzismo. Nei quartieri a ovest di Berna, caratterizzati da un’elevata presenza di migranti, genitori riuniti in un gruppo di lavoro si occupano della discriminazione nelle scuole.

Quanto sono durevoli gli effetti della Settimana contro il razzismo?
Con questo evento, le autorità si impegnano ufficialmente a combattere il razzismo, lanciando un messaggio significativo. La Settimana offre inoltre una piattaforma che consente di confrontarsi con l’argomento. Trovo importante che agisca a molti livelli diversi. Incoraggiamo inoltre la creazione di una rete di contatti tra i partecipanti organizzando un evento di lancio. La Settimana contro il razzismo, svoltasi per la prima volta nel 2011, ha sicuramente contribuito al fatto che la Città di Berna conti oggi così tanti progetti e iniziative.

Dove sussiste potenziale di miglioramento?
È fondamentale che in seno alle strutture e alla pubblica amministrazione la lotta al razzismo sia vissuta come un impegno vincolante e non come un’attività accessoria. È vero che siamo riusciti a convincere tutti dell’importanza dell’argomento, ma senza risorse di personale e finanziarie non andiamo lontano. Oltre alle persone che «spingono», serve anche la volontà politica affinché tutti si occupino della questione, altrimenti i cambiamenti dipendono troppo dall’impegno del singolo. E nel momento in cui le persone sensibilizzate non ci sono più, bisogna ricominciare da capo. Nelle istituzioni è necessario creare una cultura del lavoro che radichi una prospettiva attenta e critica al razzismo. Per fare questo occorrono risorse.

Quali raccomandazioni personali si sente di dare?
Il tema del razzismo fa sentire molte persone insicure e provoca disagio. È importante affrontare la questione in modo aperto e sincero. È un processo di apprendimento durante il quale si può sbagliare e non bisogna essere troppo severi con sé stessi. La chiave è imparare dagli errori. Abbiamo bisogno di apertura, ma anche di ottimismo per credere di poter cambiare le cose. Vorrei inoltre aggiungere che senza antirazzismo non c’è società giusta. E senza antirazzismo, non c’è integrazione.