TANGRAM 46

Il razzismo sistemico al centro delle riflessioni della Polizia cantonale friburghese

Autor

Philippe Allain è comandante della Polizia cantonale di Friburgo dal 2018. Philippe.Allain@fr.ch

Mi viene spesso chiesto se la nostra polizia sia toccata dal problema del razzismo sistemico. A volte, la forma interrogativa lascia persino spazio a un’affermazione perentoria. Come affrontare la questione, a cui non intendiamo sottrarci, rimanendo realisti?

Il razzismo sistemico è attualmente al centro delle riflessioni di numerose forze di polizia cantonali, per le quali la gestione del multiculturalismo esige una continua rimessa in prospettiva del funzionamento e dell’influenza dell’istituzione. Per quanto riguarda noi della Polizia cantonale di Friburgo, la questione del razzismo sistemico ci ha indotti a valutare il peso dei pregiudizi sulla qualità del lavoro, includendo tutti gli aspetti connessi con le cosiddette minoranze: genere, etnia, generazione, religione, gruppo di appartenenza ecc.

Da subito abbiamo definito due assi di lavoro:
- favorire un orientamento pragmatico invece di discorsi e approcci accademici il cui impatto rischia di essere più debole in un mondo caratterizzato dall’urgenza e dall’intensità (la direzione della polizia ha scelto di privilegiare approcci pragmatici e concreti per un maggiore coinvolgimento delle persone);

- collaborare con partner e attori attivi sul campo, come gli assistenti sociali e gli organi di prevenzione.

Dopo le prime riflessioni in seno alla direzione, è apparso chiaro che il compito è delicato, complesso e consequenziale. Siamo stati tuttavia unanimi nell’affermare che occorreva agire per non rischiare di ritrovarci tra un decennio isolati e in ritardo.

Punto 1: l’orientamento

La Polizia cantonale friburghese ha deciso d’integrare la nozione di «diversità» nei suoi obiettivi strategici prioritari estendendola a tutti i tipi di diversità nell’ottica di rendere la sicurezza più accessibile a tutti. Siamo però consapevoli che inserirla nella visione aziendale non è certo sufficiente.

Punto 2: la formazione sul profiling

In veste di comandante, constato ogni giorno che gli agenti non si sentono per nulla razzisti, eppure nell’esercizio della loro funzione a volte sono percepiti come tali, il che può dare adito a tensioni. Qui sussiste sicuramente margine di miglioramento.

Da un lato, quando vengono commessi determinati tipi di reati, l’analisi criminale e la ricerca di persone considerano l’aspetto dell’origine etnica. Dall’altro, l’azione degli agenti nella quotidianità deve fondarsi sulla presunzione d’innocenza e sull’imparzialità. Un bell’esercizio di equilibrismo! A fronte di questa difficoltà, la soluzione consiste in un approccio centrato sullo sviluppo di competenze e sulla capacità di autoanalisi (debriefing o analisi dopo l’azione).

Abbiamo così deciso, nel quadro della formazione, di approfondire il tema del profiling, un atto tipico del nostro mestiere. Sapendo che il colore della pelle è uno dei criteri per la ricerca di persone, occorre potenziare le competenze dei nostri agenti insistendo sul fatto che questa caratteristica non è sufficiente per svolgere un lavoro di qualità e che occorre andare oltre. Nelle sessioni di formazione affrontiamo apertamente il tema su due assi: «Sei cosciente dell’impatto del tuo controllo d’identità? Qual è l’obiettivo del profiling cui stai facendo ricorso?». E, se nessun interesse preponderante vi si oppone, ogni agente deve essere in grado di spiegare alla persona fermata gli elementi che hanno portato all’atto in questione.

Durante le formazioni hanno luogo dibattiti molto aperti sui risvolti psicologici e culturali che orientano la nostra azione. Secondo noi, riconoscere determinati dilemmi e parlarne esplicitamente (debriefing) consente di migliorare la qualità del nostro lavoro. Nell’esercizio quotidiano della nostra funzione, viene sempre ricordato che la «malafede», i «malintesi» e gli errori professionali sono gestiti senza tabù e secondo le regole della procedura applicabile: disciplinare, amministrativa o, se il Procuratore generale ravvisa un illecito, penale.

Punto 3: il dialogo

In collaborazione con l’Ufficio del Cantone di Friburgo per l’integrazione dei migranti e la prevenzione del razzismo, è stato gettato un ponte tra la comunità e la polizia che ha dato vita a numerosi incontri, i quali hanno contribuito a rafforzare la fiducia reciproca. Questo partenariato si è sviluppato e ha consentito di svolgere azioni concrete sul campo, legate alla prevenzione del razzismo e ad altre tematiche criminali.

Ad esempio, i regolamenti di conti tra bande rivali della Svizzera romanda provocavano regolarmente situazioni di tensione tra giovani e agenti di polizia (p. es. in occasione di controlli d’identità o di interrogatori). Per farvi fronte, è stato organizzato un incontro in un centro di animazione socio-culturale che ha visto riuniti una quarantina di adolescenti e giovani adulti con agenti di polizia e assistenti sociali. Le discussioni sono state intense ma corrette e sono sfociate nella volontà comune di compiere un passo verso la pacificazione. In modo del tutto spontaneo è inoltre nata l’idea di un torneo di calcio tra squadre miste di giovani della Grande Friburgo e rappresentanti della polizia, delle autorità e degli assistenti sociali. Organizzato con il coinvolgimento dei giovani, l’evento si è tenuto nell’estate del 2022.

Punto 4: il perseguimento penale dei casi di razzismo

Il razzismo non deve restare impunito. Ma le vittime osano rivolgersi alla polizia? Sono consapevole che alcune persone possano provare timore al pensiero di varcare la soglia di un posto di polizia. Per ovviare a questo problema, ci siamo dati l’obiettivo di utilizzare gli incontri di prossimità per incoraggiare la segnalazione di qualsiasi tipo di discriminazione e agevolare così le vittime a sporgere denuncia. Si tratta di un lavoro a lungo termine, perché l’accesso alla polizia e alla giustizia a volte sembra difficile… La polizia può svolgere un ruolo di facilitatore spiegando le cose nel modo più chiaro possibile.

Non da ultimo: il reclutamento…

La polizia deve impegnarsi a essere l’interlocutrice di tutta la popolazione, garantendo lo stesso livello di prestazioni all’intera comunità sociale. A tal fine, l’apertura al reclutamento di profili il più possibile «diversi» è, ovviamente, indispensabile – ma non può essere decretata né basta pubblicare qualche riga su un sito Internet. Si tratta di instillare il desiderio di unirsi al nostro corpo di polizia e di renderlo possibile. L’assunzione di persone con permesso C è una questione politica, ma altri ambiti sono di nostra competenza. Il ricorso alle reti sociali e iniziative concrete dei gruppi di polizia di prossimità consentono a ogni livello della struttura di svolgere azioni visibili, accessibili e rassicuranti presso tutti i gruppi di popolazione.

… e un pizzico di audacia

Già dopo qualche mese possiamo trarre i primi insegnamenti. La procedura che abbiamo scelto sorprende tanto all’interno quanto all’esterno e costituisce una vera e propria sfida all’incrocio tra cultura aziendale, deontologia e tecnica di lavoro. Non è necessariamente spontanea in un periodo in cui le forze di polizia della Svizzera patiscono la carenza di effettivi e il sovraccarico generale. Un tale orientamento ha bisogno della fiducia delle autorità, di un investimento considerevole da parte degli attori di prossimità e di un po’ di coraggio per affrontare il cambiamento.

La disponibilità e l’apertura sono percepibili in seno al corpo di polizia e nelle comunità destinatarie. In questo senso, gli attori dell’integrazione sociale e gli uffici per l’integrazione svolgono un ruolo importante. Sebbene l’impostazione sia cantonale, la ricerca di soluzioni concrete è soprattutto di competenza dei quartieri e dei Comuni.

È comunque opportuno rimanere modesti, visto il cammino che resta da percorrere. Le fondamenta possono apparire solide, ma la situazione può mutare rapidamente in funzione di eventi che si verificano nelle nostre vicinanze o all’altro capo del mondo. Il nostro auspicio è che questo lavoro di base costituisca un investimento durevole che permetterà di attutire le difficoltà future in materia di sicurezza grazie alla fiducia dell’intera popolazione.

Collaborare superando i pregiudizi

Dopo numerosi mesi di lavoro, è sempre più evidente che ne vale la pena. I legami che uniscono le comunità e la polizia arricchiscono entrambe le parti, favoriscono la convivenza, di cui la sicurezza è un pilastro, e migliorano la qualità del nostro ambiente di lavoro. In definitiva, si tratta di persone: donne e uomini con percorsi e funzioni differenti che a un certo punto hanno deciso di superare i pregiudizi per dialogare, comprendere e costruire insieme.

Alla domanda se la nostra polizia sia toccata dal problema del razzismo sistemico, risponderei che «Noi, agenti della polizia friburghese, siamo pronti a collaborare con tutte le persone di buona volontà per coltivare giorno dopo giorno l’ambizione seguente: ogni cittadina e ogni cittadino del nostro Cantone devono avere la profonda convinzione che siamo la polizia di tutti e per tutti». Sulla base delle esperienze fatte, la Polizia cantonale di Friburgo intende proseguire il suo lavoro di prossimità per essere un attore determinante dell’integrazione, del rispetto, della lotta al razzismo e della sicurezza per tutti.