Autore
Martine Brunschwig Graf è la presidente della Commissione federale contro il razzismo (CFR)
La nostra commissione ha scelto la complessità dedicando il presente numero di Tangram al razzismo strutturale. Come emerge dai contributi pubblicati, nel nostro Paese l’esplorazione di questo tema è agli inizi. Questo non significa però che il problema non esista: significa soltanto che finora è rimasto spesso in ombra. Non deliberatamente, è chiaro, ma tutti intuiamo che il dibattito è delicato e che il tema non può essere trattato solo nelle grandi linee.
Prima di entrare nel merito del problema va detto che se la Svizzera non è immune al razzismo strutturale, questo non vuol dire che sia razzista e che lo siano i suoi abitanti. Le esperte e gli esperti che hanno contribuito al presente numero di Tangram lo dicono, ognuno a modo suo. Questa precisazione è importante, perché permette di evitare reazioni di rifiuto a qualsiasi dibattito che affronti l’aspetto strutturale del razzismo.
Il razzismo è diventato un tema delicato. Tra chi pensa che si faccia troppo e chi invece ritiene che si debba fare di più la tensione è percepibile. Questo è spesso dovuto al fatto che manca un’intesa comune su che cosa s’intenda per discriminazione razziale e razzismo. Quando poi ci si spinge oltre per mettere in evidenza il razzismo strutturale, l’esercizio diventa ancora più arduo, perché si passa dalla nozione di individuo a quella di collettività. Il razzismo non scaturisce da un individuo chiaramente definito, ma da un’organizzazione o un sistema, da misure legali o regolamentari, da un modo di fare che può essere generalizzato nei confronti di un gruppo di persone particolarmente esposte alla discriminazione.
Prendiamo per esempio le minoranze nomadi: in teoria beneficiano come tutti della protezione dalla discriminazione, ma in pratica, quando le autorità emanano regolamenti che hanno un impatto negativo sul loro modo di vita e sulla loro indipendenza economica e quando queste stesse autorità non riescono, singolarmente e collettivamente, a mettere a disposizione un numero sufficiente di aree di stazionamento, la discriminazione razziale diventa effettiva e istituzionale.
Un altro esempio, più noto, è il profiling razziale. A essere in causa è il sottile confine tra ricerca legittima di una persona sospettata e la presa di mira sistematica di determinate persone a causa della loro origine o del colore della loro pelle. La mancanza di formazione e di controllo, direttive poco chiare e una certa indifferenza per il fenomeno possono favorire queste pratiche condannabili e, a volte, incoraggiare addirittura una cultura discriminatoria sistematica, consapevole o meno. Le istituzioni pubbliche, in particolare quelle preposte alla sicurezza e alla giustizia, devono essere pienamente consapevoli delle possibili derive. La lotta contro il razzismo strutturale è un impegno continuo. Occorre mantenere costantemente un occhio critico sulle strutture e sulle istituzioni e adeguare regolarmente le misure di prevenzione.
Il settore pubblico non è l’unico a essere toccato dal problema del razzismo strutturale. Lo è anche quello privato. Gli ambiti della vita quotidiana, come il lavoro e l’alloggio, senza dimenticare il mondo dello sport o quello della formazione, sono particolarmente esposti. Nel caso dello sport, per esempio, deve essere tenuto maggiormente conto del rischio di banalizzazione, che permette di far passare per entusiasmo dei tifosi quello che in realtà è un atteggiamento razzista e discriminatorio nei confronti dei giocatori con retroterra migratorio. Il silenzio è una forma di complicità che rafforza l’aspetto strutturale del razzismo e permette di far scivolare in una sorta di «normalità» quello che non dovrebbe essere tollerato.
L’obiettivo del presente numero di Tangram è, ovviamente, quello di divulgare le riflessioni e le analisi sul tema che abbiamo scelto e, in particolare, di prendere coscienza del razzismo strutturale presente in vari contesti, dalla scuola alla politica migratoria.
Il dibattito sul razzismo strutturale e gli strumenti per combatterlo non si limitano alla pubblicazione di qualche articolo. Bisogna anche riflettere sul modo migliore di agire per prevenire e combattere la discriminazione. È inoltre importante permettere alle vittime, appartenenti a gruppi particolarmente esposti, di esprimersi maggiormente e di descrivere ciò che vivono sulla propria pelle. Quello che ci attende è un lavoro di lungo respiro.