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Peter Meier è responsabile della politica e dei media all’Organizzazione svizzera di aiuto ai rifugiati (OSAR). Peter.Meier@fluechtlingshilfe.ch
La generosa regolamentazione dell’accoglienza in Svizzera dei rifugiati provenienti dall’Ucraina, pur encomiabile e giusta, rivela anche un’insostenibile disparità di trattamento rispetto ai profughi di altri Paesi. Un appello per l’uguaglianza dei diritti nella protezione dei rifugiati.
Alla fine di febbraio del 2022 l’invasione russa dell’Ucraina provoca in pochissimo tempo l’esodo di profughi più imponente dalla Seconda guerra mondiale: nel giro di poche settimane l’attacco brutale di Putin spinge milioni di persone alla fuga in altre zone del territorio, nei Paesi confinanti e da questi verso lo spazio Schengen. In ogni parte d’Europa organizzazioni della società civile e associazioni di volontari offrono spontaneamente ai profughi vitto e alloggio, dando loro assistenza e un minimo di stabilità nei primi giorni e nelle prime settimane. Anche i governi europei intervengono in modo rapido, risoluto e compatto, diversamente da quanto ci si potesse aspettare viste le precedenti divergenze in materia di politica migratoria. I profughi di guerra in fuga dall’Ucraina possono scegliere liberamente il Paese di accoglienza. In tutta Europa ricevono protezione immediata e senza complicazioni burocratiche, ampio sostegno e vengono accolti calorosamente. La solidarietà e la volontà di aiutare illimitate che stanno dimostrando i Paesi europei di fronte a questa catastrofe umanitaria sono impressionanti.
Da noi, come nell’Unione europea, la politica decide rapidamente di istituire uno strumento giuridico straordinario per accogliere i profughi, che possono entrare senza visto e muoversi liberamente nello spazio Schengen per 90 giorni. Nell’Unione europea viene applicata la direttiva sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati, in Svizzera lo statuto di protezione S. Entrambi sono costrutti teorici mai utilizzati sinora, concepiti in primo luogo come meccanismi di emergenza. Il loro obiettivo è di evitare il collasso del sistema di asilo in caso di un imponente afflusso di profughi in poco tempo. Sia la direttiva europea che lo statuto di protezione S prevedono in questo caso una protezione temporanea, immediata e collettiva, evitando ai diretti interessati di dover avviare la normale trafila della procedura di asilo. Entrambi questi strumenti giuridici concedono un diritto di soggiorno limitato nel tempo ma prorogabile, con la prospettiva di poter restare nel caso in cui la guerra durasse più a lungo.
Le analogie sono volute. L’obiettivo dichiarato del Consiglio federale è che la soluzione svizzera sia il più possibile equivalente a quella dell’UE. Ne consegue che, invece di applicare in modo restrittivo lo statuto di protezione S così come era stato sancito 25 anni fa nella legge, il Consiglio federale sta ora attingendo a tutte le opzioni legali di cui dispone, e lo sta facendo in modo insolitamente pragmatico e straordinariamente accomodante. Ai rifugiati dell’Ucraina viene immediatamente concesso di entrare in Svizzera anche senza i documenti d’identità in genere necessari, vivere a casa di privati, cercare subito un lavoro, mandare i figli a scuola e viaggiare senza restrizioni. Nonostante la legge non preveda misure di integrazione, la Confederazione stanzia ulteriori fondi per i corsi di lingua, in modo che i profughi di guerra possano stabilirsi in tempi rapidi nel nostro Paese.
Questo trattamento generoso delle persone bisognose di protezione provenienti dall’Ucraina è assolutamente giusto e dimostra che cosa si può fare quando c’è la volontà politica. I diritti conseguenti all’istituzione dello statuto di protezione S sono pressoché incontestati. Non è stato neppure rispolverato l’argomento del presunto «fattore di attrazione», a lungo smentito ma sempre popolare, con il quale vengono subito liquidati politicamente anche i più piccoli miglioramenti di statuto per altri gruppi di rifugiati. Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, tutti concordano che questi profughi abbiano bisogno di protezione e di una prospettiva di vita in Svizzera. Anche altri gruppi di rifugiati condividono ampiamente questa posizione. Nessuna parola di invidia o di risentimento, solo la legittima domanda: «Perché tutto questo per noi non è possibile?».
Eccolo qui, l’elefante nella stanza: la disparità di trattamento dei rifugiati di origini diverse, fatto che diventa ancora più evidente con l’istituzione dello statuto di protezione S. Questa disuguaglianza riguarda soprattutto le persone fuggite a causa di guerre e violenza da Paesi diversi dall’Ucraina come la Siria, l’Afghanistan, lo Yemen e la Somalia. A queste persone lo statuto S non si applica, perché le vie di fuga per la Svizzera sono lunghe e pericolose e quindi non possono arrivare in tempi così brevi e in numero così massiccio, come richiesto da questo statuto speciale. Inoltre, questi profughi arrivano da situazioni di conflitto complesse e hanno anche motivazioni di fuga individuali, che vanno esaminate. Per questo motivo vengono giustamente sottoposti a una procedura di asilo. Tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi, lo statuto di rifugiato non viene loro riconosciuto in quanto non soddisfano i severi requisiti definiti per la plausibilità di una persecuzione mirata. Per loro la legge prevede soltanto il permesso F, cioè l’ammissione provvisoria. Il problema è ciò che questa situazione comporta per il loro soggiorno in Svizzera: nonostante siano nelle stesse condizioni e abbiano lo stesso bisogno di protezione dei profughi di guerra in fuga dall’Ucraina, le persone ammesse provvisoriamente sono oggetto di una disparità di trattamento per quanto riguarda i diritti previsti dal loro statuto.
Prendiamo l’esempio della Siria: i siriani che nel 2015 sono fuggiti dai raid aerei e dalle bombe russe per cercare rifugio in Svizzera non erano anche loro vittime dell’aggressiva politica egemonica di Putin, proprio come sta succedendo ora con la popolazione ucraina? Tuttavia, come rifugiati di guerra ammessi provvisoriamente, non hanno gli stessi diritti dei profughi ucraini. Perché? Come si giustifica che i cittadini siriani ammessi provvisoriamente debbano aspettare tre anni e soddisfare requisiti molto severi (indipendenza dall’aiuto sociale, abitazione di dimensioni adeguate, conoscenze linguistiche) per richiedere il ricongiungimento familiare, mentre per i cittadini ucraini con lo statuto S, invece, non sono previsti né termini di attesa né condizioni finanziarie da ottemperare? Perché gli afghani ammessi provvisoriamente non dovrebbero poter rendere visita ai loro parenti in Europa? Mentre per i rifugiati ucraini questo bisogno è stato immediatamente riconosciuto, alle persone ammesse provvisoriamente è concesso di viaggiare in Europa soltanto se un loro parente è gravemente malato o già defunto.
In uno Stato di diritto funzionante vige l’uguaglianza dei diritti: ciò che giustamente viene concesso agli uni non deve essere negato agli altri. Nel caso presente non è così. Le disuguaglianze giuridiche tra profughi di diversa provenienza sono un dato di fatto ed espressione di una discriminazione strutturale e istituzionale dei rifugiati ammessi provvisoriamente che si palesa soprattutto nel diverso modo di trattare la loro libertà di movimento. Nella sessione invernale del 2021 il Parlamento, con il sostegno del Consiglio federale, aveva deciso un divieto rigoroso sia per lo statuto F che per lo statuto S che, di norma, non permette neppure viaggi nei Paesi limitrofi. Trascorsi neanche tre mesi da questa decisione, il Consiglio federale ha abrogato unilateralmente questo divieto generale di viaggiare, inserendo nella pertinente ordinanza un capoverso in base al quale i rifugiati ucraini in possesso dello statuto S possono esplicitamente «recarsi all’estero e tornare in Svizzera senza autorizzazione di viaggio» (art. 9 cpv. 8 ODV). Di fatto, non è altro che l’ammissione politica del Consiglio federale che la massiccia limitazione del diritto fondamentale alla libertà di movimento va troppo oltre, ma questo ovviamente non riguarda tutti allo stesso modo.
L’ingiustificata disparità di trattamento è la conseguenza di approcci diversi nel considerare gli statuti F e S. Nella legge lo statuto S è concepito come uno statuto di protezione a sé stante, con il quale il Consiglio federale dichiara «bisognosa di protezione» una certa categoria di persone, alla quale va concessa una protezione collettiva per tutta la durata di una grave minaccia, in particolare in caso di conflitto, guerra civile o violenza generale. Lo statuto S è pertanto limitato nel tempo e finalizzato al ritorno in patria. Tuttavia, dal punto di vista della modalità di soggiorno dei profughi di guerra ucraini, questo strumento è orientato alle loro esigenze, consentendo loro un diritto di soggiorno immediato e dopo cinque anni anche un diritto a rimanere (permesso di dimora B); dopo ulteriori cinque anni i Cantoni possono concedere un permesso di domicilio.
Lo statuto F, invece, non è uno statuto di protezione e nemmeno concede un diritto di soggiorno. È concepito piuttosto come strumento burocratico transitorio, come misura sostitutiva di un’espulsione non eseguibile dopo una decisione negativa in materia di asilo. L’esecuzione dell’espulsione viene soltanto sospesa a favore di un’ammissione provvisoria. Lo spirito di questo provvedimento è in sostanza lo stesso dell’internamento ai sensi della legge sugli stranieri, la precedente misura sostitutiva su cui si basa storicamente l’ammissione provvisoria istituita negli anni 1980. Oggi come allora non è tanto la necessità di proteggere le persone a essere determinante, quanto l’ineseguibilità della loro espulsione. I profughi in fuga dalla guerra o dalla violenza con un permesso F figurano infatti nelle statistiche come richiedenti l’asilo la cui domanda è stata respinta, il che porta spesso a pensare, sbagliando, che il loro soggiorno in Svizzera sia abusivo.
Il potenziale di discriminazione è quindi insito nel concetto originale di ammissione provvisoria che, fatalmente, condiziona ancora oggi il pensiero politico e l’azione del legislatore. La ragionevole definizione dello statuto S rende questa situazione più chiara che mai: in Svizzera, a differenza dei rifugiati ucraini, i profughi di guerra ammessi provvisoriamente sono tutt’al più tollerati e le loro esigenze non sono comunque mai prioritarie, ragione per cui i diritti derivanti dal loro statuto sono limitati. Non hanno quindi diritto a un permesso di dimora e neppure la certezza di poter restare. Nonostante il loro lungo soggiorno sul suolo svizzero, la loro situazione di provvisorietà permanente rende molto più complicata la loro integrazione e partecipazione alla vita sociale, ostacolando la loro autonomia e rendendoli più dipendenti dall’aiuto sociale. La classe politica ne è consapevole da molto tempo ed è per questo che, paradossalmente, ha dichiarato in modo esplicito che le persone ammesse provvisoriamente, nonostante l’insufficienza dei loro diritti, sono un gruppo target dell’Agenda Integrazione Svizzera (AIS). Negli ultimi 20 anni lo statuto F è stato rimaneggiato più volte per mitigare le pesanti conseguenze sui diretti interessati, ma con scarsi risultati. A miglioramenti puntuali sono regolarmente seguiti pesanti inasprimenti, finendo sempre in un vicolo cieco.
Serve un’inversione di tendenza, e per ottenerla si può partire dalle esperienze acquisite e dall’ampia accettazione della progressiva accoglienza dei profughi dell’Ucraina e dal sostegno loro fornito. Non si tratta di rimettere in discussione in toto il sistema di asilo, come qualcuno ogni tanto sentenzia, bensì di far rispettare quel bene supremo che è l’uguaglianza dei diritti come pietra miliare della collettività. La disparità di trattamento tra profughi di diversa provenienza è insostenibile, ma non la si può eliminare limitandosi a riformare per l’ennesima volta lo statuto dell’ammissione provvisoria. Questa è una reliquia del secolo scorso, superata nell’orientamento e nella forma, un unicum negativo nel panorama europeo, dove la protezione sussidiaria garantisce gli stessi diritti dei rifugiati riconosciuti. Invece di portare avanti la complicata differenziazione della portata dei diritti a seconda del permesso, perché, dopo l’armonizzazione dello statuto S, non creare una soluzione svizzera che si avvicini il più possibile a quella adottata nell’UE?
Anche se i profughi provengono da luoghi diversi, le loro sofferenze e il loro bisogno di protezione sono simili. Una volta giunti in Svizzera, non hanno bisogno solo di un tetto sopra la testa, ma anche degli stessi diritti: ricongiungimento rapido e incondizionato, libertà di viaggiare senza limiti all’interno dei confini europei; aiuti finanziari adeguati, accesso al mercato del lavoro e misure di integrazione. Questo deve valere per tutti i rifugiati allo stesso modo, non appena il loro bisogno di protezione viene riconosciuto e finché non possono tornare in patria. A tale scopo serve un nuovo inizio, un vero statuto di protezione che sostituisca l’ammissione provvisoria e garantisca l’uguaglianza dei diritti.