Autori
Marianne Helfer è la responsabile del SLR. marianne.helferherreraerazo@gs-edi.admin.ch
Alain Stampfli è collaboratore scientifico del SLR. alain.stampfli@gs-edi.admin.ch
Oggi nessuno mette più in discussione che il razzismo è presente anche in Svizzera. Ma a che punto siamo con la comprensione del razzismo strutturale? Come possiamo riconoscerlo e combatterlo in quanto problema strutturale? Abbiamo posto tre domande fondamentali a Marianne Helfer e Alain Stampfli, rispettivamente responsabile e collaboratore scientifico del Servizio per la lotta al razzismo (SLR).
Come possiamo definire il razzismo strutturale e la discriminazione strutturale? E come riconoscere il primo? Che cosa c’entrano la violenza e l’alterità?
Marianne Helfer: L’espressione non è nuova, eppure non è così comune. Il lavoro sulla definizione è quindi molto importante. La definizione operativa (1) formulata dal SLR contiene alcuni aspetti fondamentali per descrivere la discriminazione o il razzismo strutturale: si tratta di un problema sociale (non individuale) consolidatosi nel corso della storia e riferito a gruppi di persone. Tuttavia, si potrebbe ancora specificare chi sono questi gruppi. Ebbene, si tratta di gruppi che sono stati o che vengono razzializzati attraverso l’attribuzione esterna di determinate caratteristiche culturali o fisiche. Senza questo processo di razzializzazione, basato su caratteristiche reali o attribuite, non si può parlare di razzismo. Il lavoro sull’espressione è un processo continuo che fa riferimento a dibattiti specialistici e sociopolitici in costante evoluzione.
Alain Stampfli: Bisogna anche chiedersi se la definizione può rivelare qualcosa sugli effetti del razzismo strutturale. In realtà, pur parlando di esclusione e svantaggio, dice poco sulla vita quotidiana delle vittime e sulle conseguenze per la società nel suo insieme.
Marianne Helfer: Concordo. Per la società nel suo insieme, il razzismo strutturale significa disuguaglianza nella distribuzione del potere e nell’accesso a diritti e risorse sulla base di motivazioni razziste. A mio modo di vedere, le pratiche che ne derivano costituiscono la vera discriminazione. Nel podcast del SLR, Vanessa Thompson (2) descrive il razzismo come un rapporto di potere sociale e non come una relazione tra individui. È la chiave di comprensione del razzismo strutturale.
Alain Stampfli: Nel podcast, tuttavia, Vanessa Thompson compie un ulteriore importante passo avanti quando afferma che il razzismo non soltanto struttura, ma gerarchizza anche la società. La gerarchizzazione mostra chiaramente che gli svantaggi di alcuni sono sempre legati ai vantaggi o ai privilegi di altri. Tematizzare questa situazione è difficile perché molte persone, inconsapevolmente o anche del tutto palesemente, ritengono di avere più diritto di altre a determinate cose e non vogliono rinunciarvi anche se ciò porterebbe all’uguaglianza.
Marianne Helfer: I vantaggi e gli svantaggi variano peraltro notevolmente in base alla posizione sociale e alla situazione delle persone, per cui il costo della rinuncia a determinati privilegi non è uguale per tutti. Anche la definizione di chi ci sta di fronte o dell’«altro» è mutevole: l’«altro» va sempre ridefinito per potersene distinguere. Il «proprio» è pertanto considerato la norma, ma resta invisibile e non etichettato come tale.
Alain Stampfli: Proprio così! La narrazione dell’«altro» viene continuamente alimentata da vecchie e nuove immagini (3) . Attualmente possiamo osservare la produzione di simili narrazioni nel modo in cui vengono raccontati i rifugiati in fuga dall’Ucraina, costantemente distinti da «altri» rifugiati provenienti ad esempio dalla Siria, dallo Yemen o, ultimamente, dall’Afghanistan. Spesso la distinzione avviene con il pretesto che i rifugiati ucraini sono (culturalmente) più vicini agli svizzeri. Anche questo solleva molti interrogativi: su quale base viene stabilita la vicinanza? Sulla base di una presunta cultura, della posizione geografica o del colore della pelle?
Marianne Helfer: La definizione operativa del razzismo strutturale formulata nello studio realizzato dal Forum svizzero per lo studio delle migrazioni e della popolazione (SFM) (4) introduce anche un altro termine: quello del dominio. Personalmente, lo ritengo molto importante perché implica l’uso della violenza. Qui il pensiero corre innanzitutto alla violenza razzista della polizia o agli insulti razzisti, ma vi sono anche altre forme più sottili di violenza come la banalizzazione delle esperienze di razzismo o, appunto, forme strutturali quali la discriminazione a scuola o sul lavoro che finiscono per rendere difficili le condizioni di vita delle persone che le subiscono.
Per riassumere: gli aspetti chiave del razzismo strutturale sono quindi la storicità, il processo di razzializzazione e il suo essere un problema che riguarda l’intera società. Nella vita di tutti i giorni, il razzismo strutturale è diretto contro persone appartenenti a gruppi «etichettati», regolarmente definiti e descritti dalla società dominante come «diversi». Queste pretese di superiorità hanno contraddistinto per esempio le relazioni coloniali e vengono costantemente replicate nei rapporti con le persone immigrate e le minoranze.
Come si verifica il razzismo strutturale? In che modo le esperienze di discriminazione possono essere comprese e rappresentate come espressione di una struttura? Quali conseguenze ha la discriminazione strutturale o istituzionale per le vittime e la società nel suo insieme?
Alain Stampfli: La definizione del SFM rende attenti al fatto che il razzismo strutturale caratterizza le istituzioni, le organizzazioni e le aziende. Riprende pertanto l’espressione di razzismo istituzionale (5) per il quale vi sono innumerevoli esempi. Quello citato più frequentemente è il profiling razziale. Un altro esempio, drammatico, è l’opera assistenziale «Bambini della strada», che per decenni ha sottratto bambini jenisch alle loro famiglie e li ha collocati presso terzi. Un altro ancora – meno gravido di conseguenze, ma che ha suscitato grande clamore – è la puntata della trasmissione «Arena» mandata in onda nell’estate del 2020 dalla Radiotelevisione della Svizzera tedesca (SRF) sulla scia delle proteste del movimento Black Lives Matter (6) . Benché molto diversi, questi esempi sono tutti espressione del razzismo istituzionale: ad agire con una determinata intenzione non sono singole persone, bensì rappresentanti di istituzioni che si muovono nel contesto della rispettiva organizzazione con norme, rituali e incarichi precisi.
Marianne Helfer: In effetti, gli esempi sono estremamente diversi anche per quanto riguarda la portata del loro impatto. Nondimeno, hanno due punti in comune che, nel contesto del razzismo istituzionale, giocano quasi sempre un ruolo: da un lato, l’assenza o addirittura l’impedimento di una riflessione approfondita sul razzismo in seno alle istituzioni e dall’altro, l’assenza, in queste ultime, di rappresentanti e di misure per le pari opportunità delle persone con un’esperienza di razzismo.
Alain Stampfli: Un altro comune denominatore degli esempi è l’interrogativo sul reale impatto, nel tempo, della critica mossa a queste pratiche e della riflessione che vi fa seguito. Questi confronti portano davvero a un cambiamento strutturale duraturo oppure fanno sì che, in futuro, l’argomento venga evitato per paura di commettere errori? Un dilemma che deve scomparire: alle istituzioni deve sembrare opportuno, anzi necessario, prevenire il razzismo e rafforzare le pari opportunità al loro interno.
Marianne Helfer: La pandemia degli ultimi due anni ci ha ripetutamente mostrato le conseguenze del razzismo strutturale e istituzionale. Diversi studi condotti in numerosi Paesi hanno evidenziato che i membri di minoranze e gruppi razzializzati erano e sono tuttora particolarmente vulnerabili e presentano un tasso di mortalità maggiore. Parallelamente, almeno per un determinato periodo, alcuni gruppi di migranti sono addirittura stati ritenuti responsabili dell’infezione. I ruoli di «vittima» e di «autore» si sono in qualche modo invertiti (7) .
Alain Stampfli: L’esempio della pandemia indica chiaramente che dobbiamo guardare al razzismo strutturale in modo intersezionale. La crisi ha avuto conseguenze particolarmente negative per le persone che già in precedenza vivevano in condizioni precarie o che sono esposte a rischi professionali e sanitari. Pertanto, vanno sempre considerate anche altre dimensioni come la classe sociale e il genere.
Marianne Helfer: Le politiche e le pratiche antirazziste continuano ad avere un impatto limitato se non sono pensate in chiave intersezionale, ma questo costituisce una grossa sfida, visto l’approccio settoriale del diritto o della prassi in materia di sostegno. Non c’è infatti una base legale generale, bensì una normativa diversa per ogni caratteristica di discriminazione. Questa «settorialità» si riflette anche nell’ampia gamma di servizi specializzati e delle loro pratiche di sostegno.
Per riassumere: le forme in cui si manifesta il razzismo strutturale e istituzionale sono molto eterogenee e colpiscono le vittime negli ambiti di vita più diversi. Per esempio, il potenziale dei bambini con una presunta diversa socializzazione è spesso sottovalutato (8) , le famiglie con un passato migratorio incontrano maggiori difficoltà a trovare un alloggio e le persone con un’esperienza di razzismo sono più spesso svantaggiate nella ricerca di un lavoro (9) . In quest’ottica, il mancato confronto con il razzismo, l’assenza di sensibilità o ancora la sottorappresentanza di persone con un’esperienza di razzismo nelle posizioni decisionali sono fattori determinanti. C’è ancora molto lavoro da fare, ma da dove possiamo cominciare?
Vista la complessità della discriminazione strutturale, quali strategie e quali misure vanno sviluppate? Qual è il modo più efficace per affrontare un problema per il quale manca un’ampia comprensione? Come si può fare prevenzione se abbiamo a che fare non con l’atteggiamento di singoli individui, ma con strutture sociali?
Alain Stampfli: Oltre all’intersezionalità va senz’altro menzionata la difficoltà di descrivere e designare come tale il razzismo strutturale. I singoli casi possono essere segnalati, ma come si «segnala» il razzismo strutturale? Questa è una delle maggiori sfide nella lotta contro il razzismo.
Marianne Helfer: Negli episodi di razzismo partiamo sempre dalle vittime, come è giusto che sia, ma nel razzismo strutturale lo sguardo va allargato dai casi individuali all’insieme e alle strutture. I dati e le statistiche sono utili. Sinora, tuttavia, i risultati sono stati scarsi, sebbene gli studi sulla discriminazione nel mercato del lavoro e dell’alloggio o sul profiling razziale indichino che il problema non è semplicemente individuale bensì strutturale.
Alain Stampfli: Forse le conseguenze più deleterie riguardano la scuola, dove lo svantaggio sistematico dei bambini (con un passato migratorio) ha un impatto enorme sulle possibilità di dare forma al loro futuro. Questa situazione non è dovuta a razzismi individuali dei docenti, ma a strutture razziste che agiscono a livello intersezionale, a partire dal mix sociale della scuola fino al rapporto con i genitori passando per la valutazione delle competenze. Il rapporto di monitoraggio pubblicato dal SLR rileva già lo svantaggio strutturale, ma al riguardo i dati disponibili in Svizzera sono poco utili, dato che quasi tutte le cifre si riferiscono alla migrazione. Tuttavia, la discriminazione strutturale non è sempre legata a quest’ultima, dal momento che molte persone toccate dal fenomeno hanno vissuto sempre e solo in Svizzera.
Marianne Helfer: Oltre alla questione dei dati, va detto che anche il mancato riconoscimento sociale e politico del problema ostacola lo sviluppo di strategie a lungo termine, sostenibili e dotate delle risorse necessarie per contrastarlo.
Alain Stampfli: Sarebbe inoltre indispensabile un’ampia varietà di approcci: monitoraggio, ricerca, progetti di cambiamento istituzionale, lavoro di sensibilizzazione ecc.
Marianne Helfer: Sì, assolutamente! Al SLR viene spesso chiesto che cosa serva per combattere il razzismo, come se si potesse lottare contro un problema sociale con un unico strumento o programma, quando in realtà servono molte misure diverse a vari livelli.
Alain Stampfli: Nel frattempo, gli approcci validi per un cambiamento istituzionale abbondano: soprattutto nel settore culturale, sempre più istituzioni si prendono il tempo per sottoporsi a un’autoanalisi critica e per formarsi. Aumenta inoltre il numero di persone che dispongono del know-how necessario. Queste conoscenze possono e devono essere utilizzate.
Marianne Helfer: Oltre a questo impegno, bisogna comunque prevedere anche prescrizioni più vincolanti – cosa che si sta tentando di fare, ad esempio, nei programmi d’integrazione cantonali per i quali, del resto, c’è una base legale specifica (10) . E occorre sviluppare apposite competenze all’interno delle istituzioni stesse, idealmente già nel quadro della formazione – in tutti i settori: nella sanità come nell’istruzione, nei media o nella polizia.
Alain Stampfli: In ultima analisi, si tratta di capire in quale società vivremo e vogliamo vivere. Quella di convivere con disuguaglianze sociali ed economiche basate sul razzismo strutturale è una decisione della società maggioritaria, che può anche decidere di opporvisi.
In conclusione: una sfida cruciale nella tematizzazione e nella lotta contro il razzismo strutturale consiste nella sua documentazione. Dobbiamo essere in grado di renderlo ancora più visibile e di descriverlo ancora meglio. E il relativo dibattito deve coinvolgere l’intera società: la lotta contro il razzismo (strutturale) non può essere delegata alle vittime e a singoli servizi specializzati. Le istituzioni e la società sono chiamate a fare autocritica e a rimettere regolarmente in discussione le proprie norme e regole, i propri principi e le proprie culture.
(1) «Il termine ‹discriminazione strutturale› definisce un’esclusione e una condizione di svantaggio di determinati gruppi radicate nella società e consolidatesi nel corso della storia, accettate come ‹normali› e, quindi, non necessariamente percepite o messe in discussione. […] Possono essere considerate razzismo strutturale anche visioni del mondo e degli esseri umani veicolate dalla tradizione, dalla socializzazione e dall’educazione che influenzano, perlopiù a livello inconscio, valori, atteggiamenti e azioni. V. www.frb.admin.ch> Definizioni.
(2) Nel secondo episodio della serie di podcast del SLR «Parliamone! 20 voci sul razzismo in Svizzera», Vanessa Eileen Thompson affronta il tema del razzismo strutturale. V. www.frb.admin.ch/podcast (in tedesco e francese).
(3) Ozan Zakariya Keskinkiliç (2021): Muslimaniac. Die Karriere eines Feindbildes.
(4) «Per razzismo strutturale – in inglese e francese spesso definito razzismo sistemico – si intende un sistema sociale di discorsi, massime d’azione e idee di norme che nascono da forme di dominio storiche e che tendono a riprodurre rapporti di disuguaglianza tra gruppi razzializzati. Questo razzismo caratterizza anche istituzioni e organizzazioni politiche, economiche e della società civile come pure aziende.»
(5) V. al riguardo la road map «Apertura istituzionale» del SLR, che illustra chiaramente come si manifesta il razzismo istituzionale e come lo si può contrastare.
(6) La puntata del 12 giugno 2020 della trasmissione «Arena» intitolata «Jetzt reden wir Schwarzen» (ora parliamo noi Neri) è stata aspramente criticata perché gli ospiti erano per la maggior parte bianchi e non disponevano di alcuna competenza comprovata sul tema. La scelta degli ospiti e le loro dichiarazioni hanno fatto sì che le esperienze di razzismo delle vittime siano state relativizzate e non siano state prese sul serio. Discutibile è stato anche il confronto tra un comico e alcuni politici in un simile contesto.
(7) Yasemin Shooman (2014): «…weil ihre Kultur so ist». Narrative des antimuslimischen Rassismus.
(8) Denise Efionayi-Mäder e Didier Ruedin (2017): Il razzismo anti-Nero in Svizzera: il punto della situazione.
(9) V. «Discriminazione razziale in Svizzera 2019/2020»
(10) Art. 53 e 56 della legge federale sugli stranieri e la loro integrazione (LStrI; RS 142.20)